Fulvia Massimelli, nuova presidente di Aisla
Dal 1999, quando è entrata per la prima volta nella sede dell’Aisla di Novara come consulente fiscale, Fulvia Massimelli ne ha fatta di strada. Testa da commercialista, cuore da volontaria, dritta davanti agli occhi la certezza cristallina che prima di ogni altra cosa i malati – e i malati di Sla – sono persone e che tutto il resto viene dopo, trascorsi i primi anni di impegno in ufficio è diventata consigliera nazionale dell’associazione, poi segretaria generale, poi ancora tesoriera. L’ultimo, “naturale” passaggio, appena qualche giorno fa, l’elezione a presidente. La prima volta di una donna, «anche se in questo primato non vedo nulla di straordinario – spiega lei –: col mio predecessore, Mario Mauro, abbiamo lavorato sempre in sintonia. In ambito Aisla non esiste disparità, esiste soltanto l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei malati. E su questo abbiamo ancora tantissimo da fare».
Presidente, questa la prima sfida dunque. Come declinarla nel tempo difficilissimo che stiamo ancora vivendo? Il Covid, con il black-out dell’assistenza, si è abbattuto come uno tsunami sulle famiglie dei malati cronici e dei disabili...
È così. Questo anno ci ha messi a dura prova e ci ha imposto un cambiamento radicale. Ma ne siamo usciti rafforzati, per un certo verso: grazie ai collegamenti in remoto, per esempio, siamo riusciti a intrecciare rapporti più stretti con le nostre sezioni e con le famiglie. Tutte le settimane abbiamo organizzato incontri e colloqui, laddove non siamo riusciti più ad arrivare fisicamente coi nostri professionisti e consulenti ci siamo fatti più vicini grazie alle tecnologie. La fantasia degli operatori ha superato ogni limite immaginabile. L’ultimo “esperimento” in cui ci siamo lanciati è il glossario della Sla: tre giorni alla settimana sui social network apriamo un momento di confronto e dibattito con le famiglie e i malati per spiegare loro il vocabolario di questa malattia, non sempre di facile comprensione. È un modo per tenere per mano chi si trova catapultato in questa realtà, purtroppo persone sempre nuove. E poi c’è il nostro Centro di ascolto, operativo tutti i giorni con ben 18 professionisti, dal neurologo al fisiatra, fino all’assistente legale. Un servizio con cui anche prima del Covid avevamo sperimentato la possibilità di essere distanti ma vicini, presenti.
A che punto siamo con la tutela dei diritti malati di Sla e delle loro famiglie?
C’è ancora molta strada da fare. Le Regioni vanno per conto loro, abbiamo territori dove i malati hanno indubbiamente vantaggi, altri dove sono completamente dimenticati. E le associazioni si fanno carico di situazioni di cui dovrebbe occuparsi lo Stato. Voglio ricordare che un malato grave di Sla, con tracheostomia o Peg, costa alla famiglia soltanto in assistenza 6mila euro, 150mila in un anno. Spesso entrando nelle case ho incontrato coniugi che hanno dovuto lasciare il lavoro per occuparsi dei propri cari, figli che fanno turni. Di Sla si ammalano le intere famiglie, stritolate dai debiti e nei meccanismi spesso ciechi e spietati della burocrazia.
Sono queste difficoltà che possono portare alla disperazione? Davanti a così tanti ostacoli i “predicatori” del diritto a morire sembrano avere gioco facile...
Dai nostri malati in questi anni abbiamo avuto in realtà lezioni di vita straordinarie. Mi pongo sempre questa domanda: perché un malato dovrebbe desiderare di morire? Perché non ha assistenza, perché non ha nessuno, perché percepisce la sua vita come un peso per chi gli sta attorno. Come Aisla noi ci battiamo ogni giorno perché quel desiderio non nasca, dando qualità alla vita delle persone. È una questione di piccole cose: una spiaggia attrezzata per il bagno d’estate, il furgoncino che siamo riusciti a mettere a disposizione settimana scorsa perché una mamma malata potesse assistere al matrimonio di sua figlia, la squadra di volontari che ha accompagnato un nonno alla comunione della nipotina. Dall’esperienza che ho avuto in questi anni ho imparato che se le persone sono tenute per mano, non desiderano morire.
Come procede il vostro censimento dei malati?
Andiamo spediti, stiamo già incrociando i dati anche grazie alla collaborazione dell’Associazione pazienti neuromuscolari. Il progetto è ambizioso: attraverso il Registro daremo corpo alla Biobanca, nata nel 2019, che raccoglie il materiale biologico e tutte le informazioni cliniche sui malati con l’obiettivo di metterle a disposizione dei ricercatori italiani. Proprio la ricerca, d’altronde, resta uno dei nostri impegni fondamentali: se oggi i malati di Sla hanno un’aspettativa di vita più lunga e strumenti in grado di renderla migliore è grazie ai passi avanti fatti dalla scienza.
C’è una conquista che vorrebbe fosse associata alla sua presidenza?
Ho il sogno di ogni buon commercialista: mi piacerebbe chiudere l’associazione per raggiungimento dell’obiettivo, cioè che sia trovata una cura definitiva per la Sla. Nel frattempo perseguo con tenacia e passione l’impegno di Aisla da sempre: quello, in assenza di una cura, di prendersi cura dei malati di Sla e delle loro famiglie.