Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-ematologia pediatrica all'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma
«Alex è guarito». Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-ematologia pediatrica, terapia cellulare e genica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e presidente del Consiglio superiore di sanità, sempre molto cauto quando si tratta di parlare dei suoi piccoli pazienti, stavolta si lascia andare a una conferma netta. E a parole di aperta soddisfazione. Il bambino affetto da una rara forma di difetto funzionale del sistema immunitario – la linfoistiocitosi emofagocitica familiare (Hlh, Hemophagocytic Lymphohi-stiocytosis) –, dopo il trapianto di cellule staminali emopoietiche effettuato con successo all’ospedale romano, ora tornerà a Londra, da dov’è arrivato nel novembre scorso, anche se per i controlli continuerà a essere seguito dai medici che lo hanno curato. E guarito. Come conferma ad Avvenire.
Alex dunque sta bene?
Sì, abbiamo provveduto alla rimozione del catetere centrale venoso, non è più giustificato visto che i controlli adesso saranno diradati. Faremo controlli per verificare che non si sviluppi neanche un minimo problema correlato alle terapie impiegate, ma la frequenza sarà sempre più dilazionata. Alex torna a casa sua, a Londra, ma noi continueremo a seguirlo e ovviamente rimarremo in contatto con i colleghi londinesi.
Dopo tanta apprensione, finalmente è arrivata una bella notizia...
Questo era un caso particolare per rarità di malattia e complessità di trapianto da realizzare, un po’ anche per i riflettori mediatici. Possiamo dire che il bambino ha avuto un trapianto davvero privo di qualsiasi evento avverso, con un pieno attecchimento delle cellule del donatore e poi una risoluzione definitiva della problematica che atteneva alla sua patologia, e questo è per noi motivo di grande soddisfazione. È un momento ancora più denso di significato per chi lavora in un ospedale con i valori del Bambino Gesù.
Lei sarà ormai abituato a questo tipo di successi.
Le emozioni in positivo e anche qualche volta in negativo comunque lasciano un segno. Se ci si abituasse sarebbe davvero non in sintonia con una professione condotta secondo determinati valori morali e deontologici. Se si sviluppa questo senso di abitudine o di aspettativa forse viene il momento di porsi la domanda se continuare a fare questo lavoro.
Cosa insegna questa vicenda?
Da una storia così particolare derivano innanzitutto conferme più forti sulla cultura della donazione: donare il midollo così come donare il sangue è sintomo di attenzione per gli altri, di quella che potremmo definire una 'bio-solidarietà'. Gli italiani sono molto attenti e sensibili a questo tipo di richiami, confermando che, come ha ricordato nei giorni scorsi papa Francesco, noi siamo un popolo più portato alla generosità piuttosto che a chiuderci. Per quanto riguarda l’ondata di donazioni e di richieste di diventare donatori di midollo, il Sistema sanitario di questo Paese ha una capacità straordinaria, assolutamente invidiabile, nel gestire condizioni anche di pressione del sistema. Infine, bisogna sottolineare che la cooperazione tra tutte le componenti coinvolte – mi riferisco al rapporto tra noi e i colleghi inglesi, piuttosto che all’interazione all’interno del nostro Paese con il Sistema sanitario e il Ministero della Salute – è davvero uno dei segreti per il successo di storie come questa.
Un risultato che dà speranza a tanti i bambini come Alex?
Questa storia conferma che anche nelle forme più complicate, ereditarie, dove le sfide per ottenere l’attecchimento delle cellule del donatore sono più impegnative, lo studio, l’approfondimento, la ricerca, portano a ottenere risultati simili. Non dobbiamo mai dimenticarci che non esiste una buona assistenza senza un’ottima ricerca. Per questo bisogna sempre investire. Anzi, come presidente del Consiglio superiore di sanità mi sento di dire che le donazioni, e tutto quello che viene dedicato alla ricerca, non è mai perduto.
Quali saranno i prossimi sviluppi scientifici?
Continueremo su questa stessa linea. Alex non è stato il primo bambino a beneficiare di questo approccio: avevamo già trattato come lui una cinquantina di pazienti affetti da immunodeficienze primitive, con un tasso di guarigione e sopravvivenza che supera largamente il 90%. Alex è l’ulteriore stimolo per ambire al 100%.