Il primo a intervenire, il giorno dell’Assunta nell’editoriale su Avvenire, era stato il presidente della Cei: le nuove linee guida ministeriali sull’aborto farmacologico, scriveva il cardinale Gualtiero Bassetti, «costituiscono una duplice sconfitta: per la vita del concepito e per la stessa donna, lasciata ancor più a se stessa, visto che non ne viene mantenuto nemmeno il ricovero, necessario per garantire la sorveglianza sulla sua salute». In poche ore alle sue parole si sono aggiunte – tra omelie e interventi pubblici – quelle di altri vescovi italiani. L’arcivescovo di Milano Mario Delpini, commentando il Magnificat, si è rivolto idealmente ai «sapienti del mondo»: «Non spaventate le donne che possono essere mamme – ha detto –, non insinuate la paura che mettere al mondo un bambino significhi mettere al mondo un infelice: che ne sapete voi, infelici, della felicità dei bambini? Non spaventate le mamme suggerendo che l’aborto sia una soluzione, mentre è un dramma e una ferita che non guarisce mai». Parole simili dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna: «Non vogliamo mai che prevalga la logica della morte. Il vero diritto è quello della vita! E la vita ha diritto di essere difesa, ovunque e per tutti e in ogni sua stagione, dal suo inizio alla fine. Sentiamo una sfida l’impegno di tanti per una nuova alleanza che non lasci mai sola nessuna donna, nessuna Maria, nell’interruzione di gravidanza e la aiuti a trovare tutte le soluzioni necessarie e possibili perché togliendo la vita muore, oltre che la vita stessa, sempre anche qualcosa in chi non la accoglie». Non meno esplicito il cardinale Giuseppe Betori: «Non è un segno incoraggiante la logica di privatizzazione che sta dietro alle recenti modifiche normative che permettono di lasciare ancora più sola la donna di fronte al dramma dell’aborto – ha scandito l’arcivescovo di Firenze –. Farsi carico dell’altro e creare condizioni di condivisione è principio che deve valere in tutte le vicende critiche dell’esistenza umana».
Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni ha lanciato «l’allarme per una società in cui sembra non esserci più voglia di essere padri e madri», e malgrado questo «diffondiamo come una caramella la possibilità di togliere la vita, anche fosse una vita sbocciata male». «La storia – ha proseguito – insegna che dove una donna non è lasciata sola la vita è più forte della morte. E Maria ne è la conferma estrema e radicale». «La difesa della vita – ha detto il presidente dei vescovi sardi Antonello Mura, vescovo di Lanusei e Nuoro – non può essere condizionata dai requisiti decisi a tavolino, dettati da un legislatore o giustificati perché al nascituro manca l’autocoscienza. La vita umana per essere riconosciuta nella sua dignità ha solo bisogno del riconoscimento di un fatto, quello di essere semplicemente umana».
Per il vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi «non c’è nessun progresso umano e civile quando con l’aborto si favorisce l’uccisione di un individuo della specie umana nel grembo che lo accoglie, invece di prodigarsi per la difesa dell’essere più indifeso che ci sia. Non c’è nessun progresso umano e civile quando l’interruzione della gravidanza è talmente banalizzata da essere equiparata a un semplice intervento farmacologico. Non c’è nessun progresso umano e civile quando, soprattutto con le nuove disposizioni, la donna viene abbandonata a se stessa in una solitudine sanitaria, psicologica e morale di fronte alla scelta esistenziale, tragica e pericolosa, dell’interruzione della gravidanza. Non c’è nessun progresso umano e civile quando si percorre la strada dell’aborto al posto di quella dell’aiuto alla maternità, in una situazione di preoccupante contrazione demografica che rende incerto il futuro del nostro Paese. Sostenuti dalla grazia di contemplare l’Assunzione di Maria al cielo, a questa cultura mortifera e decadente, vogliamo rispondere con l’annuncio liberante del Vangelo della vita, promovendo sempre e ovunque l’amore e il rispetto della vita, di tutta la vita e della vita di tutti».
«Stiamo assistendo – afferma Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio – a una sorta di "decomposizione della società civile" in nome di diritti che nascondono una "concezione volontaristica della persona umana" e della società sempre più individualistica ed egoista, in cui prevale la "dittatura" dell’utilitarismo tecno-scientifico: quasi una "neo religione", a cui vengono sacrificati in nome di un desiderio narcisistico diritti inalienabili. In realtà, come afferma papa Francesco, "una società merita la qualifica di ’civile’ se sviluppa gli anticorpi contro la cultura dello scarto e se riconosce il valore intangibile della vita umana". La pillola Ru486 – aggiunge il vescovo calabrese – risponde chiaramente ad una logica efficientista-utilitarista che induce lo Stato a risparmiare sui costi assistenziali, agevolando percorsi di completa solitudine delle donne di fronte ad una gravidanza difficile o inattesa. L’auspicio è che la donna non venga lasciata sola e si avviino percorsi di accompagnamento verso la consapevole maturazione di una scelta che segna inevitabilmente la sua esistenza: tutto ciò richiederebbe il potenziamento del sistema dei consultori e che fosse garantita l’assistenza medico-psicologica come diritto fondamentale. Ribadisco la mia scelta per la vita, per questo ribadisco anche il mio no alla pena di morte, alla guerra e ad ogni forma di oppressione e indifferenza verso gli innocenti».
«Di fronte ad un tessuto sociale che si sta polverizzando - ha detto l’arcivescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo - bisogna ricuperare la consapevolezza che la nascita di un bambino è un dono per tutti e non un peso per pochi. Non è una questione di destra o di sinistra: tutti coloro che hanno responsabilità politiche e amministrative, indipendentemente dall’appartenenza partitica, sono chiamati a trovarsi concordi nel favorire politiche affidabili e continuative in favore della famiglia».