L'immagine della campagna per "salvare" i portatori di sindrome di Down. Il 23 settembre è attesa la sentenza - Dalla pagina Facebook di Heidi Crowter
Heidi Crowter ha 25 anni ed è piena di vita. Fa il tifo per il Liverpool, ama le canzoni di Beyoncé, cucina, recita e balla. Oltre mille persone hanno guardato online, quest'anno, il suo matrimonio con James Carter, un anno più di lei, nella chiesa di Hillfields a Coventry. Portatrice della sindrome di Down, è una testimonianza vivente di come la trisomia 21 non impedisca di studiare, avere un lavoro, diventare autonomi. E di come il Regno Unito li aiuti in tutto questo.
Eppure è toccato proprio a Heidi ricorrere all'Alta corte britannica contro una legge sull'aborto che ritiene discriminatoria nei confronti dei disabili. «La legge dice che i bambini portatori di handicap come me possono essere abortiti fino al momento della nascita mentre per i sani il limite è di 24 settimane. È una normativa che mi fa sentire rifiutata dalla società, come se non dovessi esistere. Si tratta di una legislazione che viola i diritti umani dei portatori di handicap».
Insieme a lei giovedì 23 settembre è attesa dai giudici del tribunale britannico – il verdetto è atteso in mattinata – anche Maire Lea-Wilson, 33 anni, alla quale è stato proposto un aborto due giorni prima che nascesse suo figlio Aidan, anche lui portatore della sindrome di Down. «Voglio che mio figlio, che ora ha 16 mesi, cresca sapendo che non è un peso per la società», ha dichiarato Maire. Se i giudici daranno ragione a Heidi Crowter e Maire Lea-Wilson la legge dovrà essere modificata. Ma se il caso venisse respinto le due donne chiederanno ai giudici di ricorrere in appello.
Nel 2020 il Servizio sanitario britannico ha dichiarato che il numero di aborti dopo le 24 settimane di bambini portatori della sindrome di Down è stato pari a 3.083. Più del 90% dei feti nei quali è stata diagnosticata la sindrome di Down sono stati abortiti, una percentuale che potrebbe raggiungere il 100% per effetto dell’introduzione negli ospedali britannici del Nipt («Non invasive prenatal test») che, attraverso un semplice esame del sangue della donna in gravidanza tra la nona e decima settimana, segnala la presenza nel bambino dell'anomalia genetica con un'accuratezza del 98%". A denunciarlo è Grace Browne, portavoce della «Società per la protezione dei bambini non nati», tra le associazioni del movimento pro life britannico. «In questo momento – aggiunge – sia il Parlamento di Westminster che quello scozzese stanno esaminando proposte per la legalizzazione del suicidio assistito che per le associazioni che rappresentano i disabili mette a grave rischio i loro assistiti».