Via libera alla ricerca in laboratorio ma non sull’uomo. È la sostanza del parere espresso dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb) sul «gene editing», la promettente tecnica che consente di sostituire sequenze di Dna difettose con copie sane in modo da rimuovere la causa genetica di animalie ereditarie. Il Cnb si pronuncia compattamente sulla richiesta di una moratoria per ciò che riguarda la sperimentazione su gameti ed embrioni umani. Ma su questo aspetto, al dunque, le opinioni divergono tanto che il parere non registra una presa di posizione univoca ma due distinte soluzioni tra loro contrapposte.
Ma andiamo con ordine. Sull’editing genetico il Comitato anzitutto si dice «favorevole alla sperimentazione in vitro e animale, secondo le regole internazionali, al fine di testare la sicurezza e l’efficacia delle tecnologie e ritiene eticamente auspicabile un incremento della ricerca sulle cellule somatiche umane sia nell’ambito della ricerca in laboratorio che nell’ambito della ricerca clinica o in vivo». Quanto poi alla «linea germinale umana» scienziati, giuristi, filosofi e bioeticisti che compongono il Comitato (organismo di consulenza del Governo su questioni bioetiche, composto da membri di diverse ispirazioni culturali e ideali) «ritiene non lecita la sperimentazione su gameti, destinati al concepimento ed embrioni umani destinati all’impianto» tanto da parlare a una sola voce di «opportunità della moratoria sulla ricerca clinica o ricerca in vivo finché non siano raggiunte le indispensabili condizioni di sicurezza ed efficacia della tecnica».
Una posizione più prudente rispetto a quella recentemente assunta dal gruppo di lavoro internazionale composto da rappresentanti delle puù autorevoli società scientifiche del mondo, che il 14 febbraio si erano espressi per una «cautela» negli esperimenti sull’uomo che però «non significa necessariamente divieto».
Dunque, luce verde, senza tante storie, sperando che in giro non ci sia nessun dottor Stranamore intenzionato a vedere che effetto può fare il gene editing nella manipolazione dell’essere umano. Consapevole di queste tendenze – affiorate in alcuni annunci di centri di ricerca orientati a testare le potenzialità di una tecnica tanto promettente quanto potenzialmente inquietante, se posta nelle mani sbagliate – il nostro Comitato di bioetica dunque invita a non forzare la mano, salvo però dividersi quando si ipotizza la «sperimentazione del gene editing in laboratorio sui gameti non destinati alla riproduzione e su embrioni in vitro non destinati all’impianto»: alcuni membri, infatti, «sono favorevoli, altri contrari sulla base di argomentazioni contrapposte».
A invitare alla massima cautela sono in particolare Assuntina Morresi, Bruno Dallapiccola e Francesco D’Agostino (presidente emerito del Cnb) che pongono una domanda decisiva: «Quando è lecito trasferire in utero un embrione modificato con il gene editing?».
La prospettiva facilmente ipotizzabile infatti è la nascita di esseri umani geneticamente modificati che trasmettono ai loro eredi, e poi alle generazioni future senza più alcun possibile controllo, alterazioni del Dna delle quali nessuno al mondo è in grado di prevedere le conseguenze. Se non si risponde a questa domanda, è chiaro che il gene editing può essere proposto come tecnica potenzialmente in grado di eliminare malattie genetiche ma che in realtà è assai ricca di interrogativi irrisolti. Il principio di precauzione – lo stesso che ha dettato grande cautela nel campo degli Ogm – imporrebbe di astenersi dall’alterare la struttura genetica dell’uomo finché non verranno diradati gli interrogativi. Che, a ben vedere, più che sulla struttura genetica sono sul futuro del genere umano.