sabato 2 novembre 2019
Suicidio assistito ed eutanasia sono pratiche estranee alla professione medica, che ha il riferimento nel Codice deontologico. Parla Pierantonio Muzzetto, a capo della Consulta deontologica nazionale.
«Suicidio assistito, per noi medici Codice deontologico è punto fermo»
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«Si riafferma con chiarezza come suicidio assistito ed eutanasia siano estranei al medico». Commenta così Pierantonio Muzzetto, presidente dell’Ordine dei medici di Parma e coordinatore della Consulta deontologica nazionale della Fnomceo (Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), la dichiarazione della Associazione medica mondiale (World medical association, Wma) sottoscritta pochi giorni fa a Tiblisi (Georgia) e che ribadisce che nessun medico dovrebbe essere obbligato a praticare l’eutanasia né ad aiutare un suicidio assistito. Parole che confermano quanto emerso al convegno sul suicidio assistito organizzato come giornata di studio e confronto dal gruppo di lavoro della Consulta deontologica e dall’Ordine dei medici di Parma, con il patrocinio della Fnomceo, in relazione all’ordinanza 207/2018 della Corte costituzionale (in attesa del testo della sentenza del 25 settembre 2019). La Wma precisa che non agisce contro la deontologia un medico che rispetta la volontà di un paziente di rifiutare le cure, anche se ciò comporta un esito fatale della malattia.
Che cosa pensa della dichiarazione della Wma contro l’eutanasia e il suicidio assistito da un medico?
La dichiarazione della Wma rispecchia quanto già acclarato e sul piano del principio consolida il presupposto etico delle beneficialità delle cure e anche, allo stesso tempo, la rispettosa posizione verso la determinazione del paziente nell’accettarle o meno. E riconosce al malato il diritto dell’esercizio del consenso e l’autodeterminazione a disporre della propria vita e della propria salute in qualsiasi momento. Sul piano etico si rafforza ulteriormente la posizione di garanzia del medico e si riafferma con chiarezza come suicidio assistito ed eutanasia siano estranei al medico e al suo essere, così da escluderli dalla declinazione dell’atto medico. Concetti e presupposti che trovano espressione in alcune relazioni presentate e nei presupposti finali del convegno di Parma, dove ha avuto ruolo la precedente espressione del Wma dello stesso tenore.
Tornando al convegno di Parma, quali conclusioni ne trae?
Sono state presentate le varie posizioni di una riflessione ad ampio spettro sulle problematiche sollevate dalla depenalizzazione del suicidio assistito in talune specifiche circostanze indicate dalla Corte costituzionale. Le diverse anime della Fnomceo si sono trovate d’accordo sulla prevenzione dell’atto suicidario, e sulla necessità di diffondere la palliazione e la terapia del dolore. D’altro canto è apparsa problematica la posizione della figura del medico di fronte all’ipotesi di aiutare nel suicidio; però al convegno è emerso che il suicidio può essere "socialmente" assistito, se la società così vorrà, piuttosto che medicalmente assistito. Anche perché il Codice deontologico ce lo vieta.
Manca la sentenza, ma il dibattito parlamentare è già in corso. Che cosa chiedete a una futura legge?
Nell’audizione alla Camera in rappresentanza della Fnomceo ho chiesto che non ci sia una dicotomia tra mondo parlamentare e mondo medico. Su questo tema noi medici siamo particolarmente esposti: credo che il Parlamento debba avere un’interlocuzione continua con noi, almeno a livello nazionale, con la Fnomceo, che rappresenta tutti i medici. Credo che dal confronto e dall’individuazione delle problematiche possa scaturire una legge rispettosa dei principi che regolano l’agire del medico nella società, secondo i criteri della Dichiarazione universale dei diritti umani e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Che cosa comporterebbe una legge che imponesse ai medici l’aiuto nel suicidio? O lo prevedesse tra le prestazioni del Servizio sanitario?
La posizione Fnomceo oggi è ferma sui principi del Codice deontologico, ma siamo in una fase di attenta e profonda riflessione a 360 gradi, pronti a ragionare con tutti nella società, e il convegno di Parma lo ha dimostrato. Alla Camera abbiamo portato la posizione approvata a marzo dalla Consulta deontologica, che ha ribadito come la "stella polare" della nostra professione sia il Codice deontologico, che all’articolo 17 prescrive che «il medico anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte». Ricordo che il valore del Codice deontologico per il medico è stato riconosciuto dalla legge 3/2018 sul riordino delle professioni sanitarie. E a chi in Parlamento ci ha chiesto di cambiarlo ho risposto che i suoi principi hanno più di 2mila anni di storia e sono tuttora validi. Di fronte a una legge in contrasto con il nostro Codice deontologico rivendicheremmo il diritto all’obiezione di coscienza. Altrettanto un problema sarebbe prevedere il suicidio all’interno del Servizio sanitario perché la legge 833 che lo ha istituito dice tutt’altro. Penso che il vero “nodo” in Italia nel fine vita sia garantire le cure palliative, compresa la sedazione profonda, visto che i dati della Società italiana delle cure palliative segnalano che – nonostante la legge 38/2010 – sono disponibili, e in modo disomogeneo, per il 20% di coloro che ne avrebbero bisogno, e per poco più del 14% in pediatria.

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