Nel suo messaggio per la Giornata del Malato 2020, diffuso il 4 gennaio, il Papa è intervenuto ancora con parole ferme sulla necessità di non cedere a eutanasia e suicidio assistito, ma vari Paesi stanno introducendo misure che vanno nella direzione opposta. Si può ancora fermare questa deriva? Filippo Maria Boscia, presidente dei Medici cattolici, è fiducioso.
Vari Paesi stanno introducendo misure che vanno nella direzione opposta. i può ancora fermare questa deriva, o è inevitabile?
«Il Papa ci obbliga a riflettere su una materia sensibile e delicata e analizzare le tendenze della nostra società molto incline a proporre atteggiamenti pro-eutanasici. Le tecno-scienze ci propongono una essenza di modernità, ma comportano anche condizioni che io chiamo di slittamenti morali, cioè la tendenza tipica delle società tecnologiche ad accettare in modo acritico le innovazioni tecniche e, quindi, a subire una certa anestesia. È un momento storico di grande confusione e incertezza. Istanze ideologiche socio-culturali e politiche stanno inclinando valori fondanti come la vita, la famiglia e la libertà educativa, quasi fossero governabili da pure leggi di mercato. Su questo tema, tanto delicato e sensibile sul piano etico e sociale, abbiamo il dovere di parlare con una voce sola e in grande unità, non solo formale e riaffermare che l'eutanasia non è una forma di libertà di scelta. Credo che si possa fermare questa deriva comunicando che la vita della persona fa parte di un tutto e non va né dissociata, né spezzettata, né scartata».
L'appello del Santo Padre è rivolto anzitutto ai medici. Sono disposti ad ascoltarlo?
«I medici ringraziano Francesco e accolgono il suo appello. Certamente sono molto disposti ad ascoltarlo. Sono profondamente convinti che qualunque medico che agisca per mettere fine alla vita del suo paziente tradisce la sua stessa missione. Tutti i medici riaffermano i valori della medicina in difesa della dignità della vita. I medici tutti desiderano offrire nella loro mission un supporto alla resilienza del paziente e porre attenzione alla sua spiritualità. I medici cattolici in particolare sono in trincea contro l'eutanasia e il suicidio assistito e sono pronti ad ostacolare queste azioni con l'obiezione di coscienza, non abbandonando mai il paziente a loro affidato, ma obiettando decisamente e fermamente contro leggi inique che presentano anche profili contraddittori. I medici cattolici desiderano richiamare e sottolineare il primato della coscienza, un primato centrato sulla libertà e su quell'insieme di priorità e valori che lo definiscono».
Il Papa ricorda che l’obiezione di coscienza può diventare un dovere...
«Va riconosciuta la libertà della persona, soprattutto se sofferente, ma la pari va tutelata la libertà e l'autonomia del medico, che non può essere sbriciolata come sta accadendo. Se è vera, questa libertà interessa la comunità organizzata e presuppone di necessità scelte educative. I medici cattolici rivendicano con forza la necessità che lo Stato si impegni nel dotare il Ssn di un compiuto omogeneo e universalistico sistema di cure palliative senza alcuna discriminazione per offrire al paziente e alla famiglia la migliore relazione, il miglior sostegno e accompagnamento possibile nelle fasi ultime della vita».
Francesco chiede che si sostengano i malati con cure adeguate...
«Urge attuare su tutto il territorio nazionale la grande potenzialità della legge 38/2010, abbastanza ignorata, e garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, sempre, dovunque e a chiunque. La Federazione degli Ordini dei Medici qualche mese fa ha, coraggiosamente e con coerenza di argomentazione, richiamato il dovere di non dare la morte e ha richiamato gli stessi medici alla responsabilità elevata di essere a fianco alla persona sofferente con proporzionalità di cure prestando aiuto solidale a non togliersi la vita, bensì a lenire il dolore con cure palliative, spostando con questo l'attenzione dall'autodeterminazione alla dignità e alla presa in carico della sofferenza».
L'alternativa alla "morte a richiesta" è la cultura del "prendersi cura". Come la si può diffondere in modo efficace?
«La cultura del prendersi cura deve far parte della mission del medico. I medici equipaggiati scientificamente e spiritualmente hanno il compito primario di ascoltare, accogliere sempre, dare ospitalità, prendersi cura, sapientemente agire e consolare. I medici, nella loro totalità, vogliono essere protagonisti della costruzione quotidiana della salute, del bene comune e vogliono far riflettere sulla solitudine, sull'isolamento e sull'emarginazione e, in queste che sono le nuove malattie della nostra contemporaneità, farsi progetto e speranza con percorsi di fatica e concreto impegno. I medici non vogliono che i sofferenti e i fragili diventino le prime vittime di una virale frammentazione sociale che sta interessando sia gli ambiti familiari che ambiti sanitari».
La Corte costituzionale ha aperto al suicidio assistito, a determinate condizioni. Diventerà una pratica abituale oppure resterà limitata a pochi casi estremi?
«La recente sentenza della Corte Costituzionale crea un vulnus nell'arte medica e nell'esercizio delle professioni: la sentenza è un piano inclinato che porta con sè il pericolo che si proceda all'invenzione del "diritto a morire". Gran parte della società spesso si rifiuta di fissare lo sguardo sul morente, non dobbiamo nasconderci questa realtà! Ma è proprio da quello sguardo che può nascere un'etica del morire. I medici cattolici sono convinti che in uno sguardo c'è un incontro del medico con l'ammalato, di un uomo con un altro uomo sofferente. In uno sguardo c'è la compassione, la partecipazione e forse la terapia; in questa umana relazione si concentra il meglio della relazione professionale che è molto di più di quel burocratico e asettico rapporto professionale. Le pratiche eutanasiche resteranno limitate a pochi casi se saremo capaci di interconnettere l'etica della cura alla salvaguardia della relazione medico-paziente e se saremo attenti ed essere in ascolto delle parole ultime, continuando a prenderci cura del paziente anche quando non si può guarire».