giovedì 2 gennaio 2014
​Colpito da ictus nell'89, in tutti questi anni Francesco Ederle è stato accudito dalla moglie e dai figli, diventati grandi mentre lui «dormiva». Sulle colline veronesi ci sono le viti e gli ulivi che ha piantato.
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In questi 24 anni gli ulivi cha ha piantato sono diventati giganti, il suo vitigno si è allargato sulla collina veronese, i suoi cavalli sono invecchiati e poi morti, i suoi due figli piccoli sono diventati un uomo e una donna. Senza di lui, eppure vicino a lui. Lui è rimasto sempre lì, immobile nel letto, come addormentato. Fermo a quel 1989 in cui, a soli 35 anni, Francesco Ederle è entrato in coma per un ictus cerebrale. Oggi, all'alba del 2014, ventiquattro anni e sette mesi dopo, è morto. Fondatore dell'agriturismo San Mattia, a Verona, per tutto questo tempo è stato accudito in casa dalla famiglia: la moglie Francesca, i figli Giovanni Mattia e Camilla (che avevano solo 2 anni il primo e pochi mesi la seconda al momento in cui il padre si è accasciato per non aprire gli occhi mai più sui loro sorrisi), la madre che ha avuto il tempo di compiere quasi cento anni e di tenergli la mano fino all'anno scorso, quando si è spenta, come la vita dovrebbe imporre, prima dei figlio. Per i suoi bambini il papà «dormiva». Nessuno ha mai detto loro che si sarebbe svegliato, ma di lui hanno saputo che era un uomo buono, altruista e amante del lavoro e della sua terra. Quell'amore, lo hanno ereditato. Una volta cresciuti hanno portato avanti l'azienda agricola che lui aveva messo in piedi, e che con lungimiranza da imprenditore aveva trasformato in agriturismo, il primo di Verona. Producono olio, piante ornamentali, hanno accettato la sfida di produrre un vino di nicchia. Lui, oggi 59enne, avrebbe fatto altrettanto: chi lo ha conosciuto ritrova parecchi tratti di Francesco in quei figli che lui non ha educato. Non a parole e non a gesti. Ma con quella sua presenza carica di significato, e con le passioni che, insieme alla terra, aveva coltivato. Nell'ultimo periodo Francesco Ederle si trovava ricoverato in un centro di Marzana per persone in stato vegetativo permanente. «Mi sono sempre chiesto - dice il fratello Andrea, medico, sul quotidiano L'Arena - che senso abbia una sofferenza così lunga, di ventiquattro anni, come quella di Francesco ma in questo lungo periodo ho visto come ha combattuto lui e come i suoi familiari l'hanno assistito. Ho visto la nostra mamma Annamaria, scomparsa l'anno scorso a quasi cent'anni, stargli vicino tutti i giorni, anche nella sua casa in stradone San Fermo. È rimasta in vita così tanto a lungo per lui. La sua sofferenza ha cambiato tutti noi e si è trasformata in serenità». ​Immobile nel suo letto, per un tempo lungo una vita, Francesco è riuscito «a creare un incrocio di sentimenti, nei tanti che lo conoscevano e gli sono stati vicini, anche con il pensiero», aggiunge Andrea Ederle. Adesso, con la città di Verona, potrà dire veramente addio a quel fratello addormentato ma mai morto. Che in una delle ultime foto scattate poco prima di entrare in coma - e così oggi tutti lo vogliono ricordare - tiene i suoi bimbi tra le braccia forti e guarda dritto davanti a sé, come a sfidare il futuro che lo attende.
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