martedì 28 maggio 2024
È l'anti-Uno di Noi: una iniziativa per promuovere nell'Unione il "diritto di aborto". Serve un milione di adesioni di cittadini di almeno 7 Paesi. "One of us" ne raccolse molte di più ma fu fermata
Parte “My voice, my choice”, raccolta di firme per l’aborto “sicuro”
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La Commissione Europea si mobilita per l’aborto: nelle scorse settimane, il braccio esecutivo dell’Unione ha registrato l’iniziativa “My voice, my choice: for safe and accessible abortion” (“La mia voce, la mia scelta: per un aborto sicuro e accessibile”). Nella sostanza, si tratta di un movimento uguale e contrario a “One of us” (Uno di noi), la petizione scaturita nel 2013, con l’obiettivo di sensibilizzare l’Unione a tagliare i finanziamenti a tutte quelle forme di sperimentazione scientifica che richiedono la distruzione degli embrioni.
L’iniziativa promossa da molte realtà dell’associazionismo cattolico nello scorso decennio era poi stata respinta dalle autorità comunitarie nel 2017, con la conferma - da parte della Commissione Europea – dei progetti di ricerca contestati dal movimento, e dunque con il rigetto dell’iniziativa.
Ora, dunque, a muoversi è la corrente di pensiero opposta, che in Italia è guidata dalla segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, da Gilda Sportiello del Movimento 5 Stelle, da Marilena Grassadonia di Verdi e Sinistra, oltre che da altre figure legate all’area radicale. A sostenere la nuova campagna, globalmente intesa, sono 200 organizzazioni europee, che chiedono finanziamenti specifici per l’accesso all’aborto e a quella che chiamano «assistenza sanitaria riproduttiva»: nella sostanza, dunque, richiedono da un lato la possibilità di ampliare i casi in cui è possibile sopprimere il feto nel grembo materno, e dall’altro un uso sempre più massiccio e disinvolto della procreazione medicalmente assistita, anche ben oltre i limiti imposti in Italia dalla legge 40 del 2004.
A livello nazionale, l’iniziativa richiama alla mente un altro fronte scottante, quello del morire: dopo la sentenza costituzionale 242/2019, che ha disegnato un perimetro di non punibilità nell’assistenza al suicidio, in Italia si sono moltiplicate richieste di morte da parte di ammalati gravi, e con esse le pronunce giudiziarie sul tema. In assenza di una legge nazionale, infatti, ogni struttura sanitaria interpreta il dettato della Consulta come meglio crede, e quando queste decisioni finiscono sotto il vaglio della magistratura, spesso scaturiscono sentenze contrastanti. Dove invece una legge c’è – e qui si torna al tema dell’aborto, regolato con la 194 del 1978 –, il problema si sposta sull’applicazione concreta del testo normativo, che quella stessa corrente di pensiero che sostiene “La mia voce” distorce nelle sue più elementari formulazioni. La legge, infatti, non definisce mai l’aborto come un diritto, disegnandolo piuttosto come una scelta ultima cui dar corso in assenza di alternative. E anzi: è la stessa norma che ha introdotto per la prima volta l’aborto nel nostro Paese a imporre – prima di questo epilogo – la concreta ricerca di tutte le alternative.
Per esempio: i Centri di aiuto alla vita, tanto contestati dagli abortisti, non sono altro che una struttura nata dalla lettera della legge 194, laddove all’articolo 5 impone che alla donna intenzionata a interrompere la gravidanza siano prospettate «le possibili soluzioni dei problemi», e che questa sia aiutata «a rimuovere le cause» per le quali vorrebbe abortire. D’altronde, l’attenzione all’embrione – che in Italia non è sacrificabile per la ricerca scientifica – è stata ribadita anche dalle recentissime linee guida emanate dal Ministero della Salute sull’applicazione della legge 40 del 2004, le quali a loro volta hanno recepito alcune sentenze costituzionali, tra cui la 84/2016 (che, appunto, ha confermato l’impossibilità di sacrificare per la ricerca gli embrioni soprannumerari, ovvero quelli che “avanzano” dai programmi di fecondazione assistita).
Fatto sta che, a livello europeo, “My Voice” seguirà l’iter previsto per queste iniziative popolari. Entro 6 mesi, gli organizzatori dovranno raccogliere almeno un milione di firme a sostegno, provenienti da non meno di sette Paesi. Se così sarà, la Commissione Europea dovrà decidere se accogliere o meno la sollecitazione pervenutale, motivando la decisione.

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