sabato 28 settembre 2019
Le associazioni del Forum prendono le distanze dagli scandali. Sul numero di settembre del nostro mensile le storie di chi ha aperto le porte di casa per regalare affetto a un bambini in difficoltà
Dopo Bibbiano sos affido
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Dal 27 giugno scorso, da quando cioè è esplosa l’inchiesta di Bibbiano, in Italia si parla molto di affido familiare. E quando le parole sono troppe è molto facile che diventino tanto approssimative da risultare confuse. Parole a sproposito, idee confuse. Così che. per tante persone, affido è diventato sinonimo di qualcosa di incerto, sfuggente, un po’ losco.

Nei mesi scorsi qualcuno è arrivato a dire che l’affido è uno strumento in mano a giudici e servizi sociali corrotti per accontentare le ambizioni delle lobby gay. Ridicolo se non fosse tragico. Naturalmente non è quasi mai così.

Gli "affidi illeciti" di Reggio Emilia non c’entrano nulla con l’impegno silenzioso e positivo di migliaia di genitori che aprono generosamente la porta di casa per offrire una famiglia a un bambino in difficoltà. Inaccettabile il rischio di confondere il comportamento penalmente e umanamente agghiacciante – se i fatti verranno confermati – delle persone raccontate dall’inchiesta della Procura di Reggio Emilia, con quello di coloro che credono nell’affido come scelta buona e virtuosa.

Lo dicono le associazioni del Forum delle famiglie che da decenni portano avanti la battaglia silenziosa per affermare la necessità di rilanciare un istituto prezioso ma troppo spesso negletto. E sul nostro mensile "Noi famiglia & vita" - in edicola domenica con "Avvenire" - raccontiamo le loro storie.

QUANTI SONO I MINORI IN AFFIDO FAMILIARE?

Prima di addentrarci nella verità dell’affido familiare e dei rilievi che sono stati fatti al sistema di protezione dei minori fuori famiglia nel nostro Paese, occorre capire quante persone siano coinvolte in questa emergenza. Premessa importante a cui va fatta – non è solo un gioco di parole – una premessa della premessa. Il problema è senz’altro preoccupante ma non quanto in altri Paesi europei. In Italia i minori costretti a vivere fuori dalla famiglia d’origine rappresentano una quota del 2,7 per mille. In Inghilterra arrivano al 6 per mille. In Francia e in Germania al nove.

Vuole dire che da noi, nonostante tutto, il tessuto familiare appare un po’ più consistente, un po’ più tenace. Ma in termini assoluti quanti sono questi ragazzi? Numeri precisi e "oggettivi" non ne esistono perché, in tutti questi anni e nonostante appelli molteplici, non siamo riusciti a costruire un osservatorio specifico a livello nazionale, in grado di raccogliere i dati, elaborarli e preparare statistiche credibili. Così le stime arrivano da più fonti: il ministero del lavoro e della politiche sociali, le procure minorili, l’Istituto degli innocenti di Firenze, l’Autorità garante per l’infanzia e dell’adolescenza. Secondo gli ultimi accertamenti, frutto di una "media" tra le diverse fonti, i minori che vivono fuori dalle famiglie d’origine sono circa 26mila di cui 14mila in affidamento familiare e 12.600 in strutture, comunità istituti.

TUTTI GLI AFFIDI SONO UGUALI?

È bene dire subito due cose. I numeri citati sono estremamente fluttuanti. Sia perché gli affidi familiari si concludono formalmente quando il ragazzo compie 18 anni – anche se esistono vari progetti per accompagnarli ancora con varie modalità fino a 21-22 – sia perché sono tanti i ragazzi che entrano ed escono dalle comunità e dagli istituti per decisione delle varie procure minorili (per esempio i minori allontanati dalle famiglie in base all’articolo 403 del codice civile). Tenere un conto preciso di questi flussi è tutt’altro che agevole. Va anche detto che anche le forme di affido sono diverse.

Esistono affidi che "funzionano" al meglio e che si prolungano per tanti anni, spesso fino alla maggiore età. Sono i cosiddetti affidi "sine die". Per alcuni osservatori sono le situazioni più auspicabili perché significa che da una parte il ragazzo ha trovato le condizioni ideali di crescita e, dall’altra, che la famiglia accogliente dispone di risorse e capacità educative importanti. Va detto però che l’affido – a differenza dell’adozione – non dovrebbe essere una condizione permanente ma solo una forma di aiuto temporaneo alle famiglie d’origine che vivono, per tanti motivi, un periodo di difficoltà.

Gli affidi "sine die" sono purtroppo la prova che la situazione d’emergenza si protrae nel tempo e che quindi il minore non può tornare a casa. Ma spesso la situazione della famiglia d’origine è talmente ingarbugliata e conflittuale che i ragazzi in affido familiare sono ben contenti di rimanere dove sono.

COME MAI MANCANO LE FAMIGLIE ACCOGLIENTI?

Abbiamo detto circa 16mila ragazzi in affido familiare e circa 12.600 in istituti e comunità. Sembrerebbe logico pensare che il luogo più opportuno per far crescere un minore – anche considerando che si tratta quasi sempre di ragazzi che hanno alle spalle situazioni più o meno pesanti – sia una famiglia con una mamma, un papà e, magari, anche altri sorelle e fratelli. Perché allora non svuotare istituti, centri d’accoglienza e altre strutture e indirizzare quei 12mila nelle famiglie? La risposta più banale – vera solo in parte – è che non esiste un numero sufficiente di famiglie disposte ad aprire le porte di casa per accogliere un minore in difficoltà.

Ma se è vero che non tutte le famiglie dispongono dell’attrezzatura umana, delle risorse educative e anche del coraggio necessario per permettere a un bambino in difficoltà di trovare nuove mura domestiche, è anche vero che tante coppie potrebbero essere facilmente essere messe nella condizione di tentare questa strada che parla di generosità, apertura, umanità. Spesso però le coppie non ricevono informazioni sufficienti, le campagne per l’affido familiare avviate dagli enti locali sono sempre più rare, talvolta le famiglie che aprono le porte di casa a un minore solo hanno la sensazione di essere lasciate sole.

A pesare c’è anche la crescente disgregazione delle famiglie, la crisi economica, la solitudine, l’indebolirsi delle reti parentali. Eppure l’affido va non solo promosso, ma difeso da qualsiasi confusione con l’inchiesta sui bambini manipolati per darli in affido ad amici e conoscenti. Qualche giorno dopo l’esplodere dell’inchiesta di Bibbiano i rappresentanti delle associazioni che si occupano di affido all’interno del Forum (Famiglie per l’accoglienza, Aibi, Azione per Famiglie nuove, Comunità Giovanni XXIII e Progetto famiglia) hanno sottoscritto un manifesto per l’affido: «Chiediamo esemplarità della pena, che non ci sia nessuno sconto per i responsabili di atti tanto gravi, perché con i bambini non si scherza e perché, per colpa di poche persone, non si metta in dubbio una legge e un’esperienza che ha fatto del bene a tanti bambini e a tante famiglie».

Va anche detto che non per tutti i minori che vivono in comunità è possibile o opportuno l’affido familiare. Esistono ragazzi con disturbi o patologie psico-fisiche, situazioni a rischio (per esempio bambini abusati), minori a cui serve una tutela specifica che difficilmente potrebbero essere accolti in una famiglia normale. Quindi attenzioni alle facile generalizzazioni. Strutture e centri d’accoglienza servono. Quelle che non servono a nessuno sono le demonizzazioni a priori, senza conoscere le varie situazioni.

COMUNITÀ D’ACCOGLIENZA IL GRANDE EQUIVOCO

Chi decide che un bambino dev’essere "aiutato" a superare un momento di difficoltà? Talvolta sono le stesse famiglie a chiedere aiuto ai servizi sociali. In altre occasioni i servizi si attivano perché arriva una segnalazione dalle insegnanti, da un educatore, dai vicini di casa, da un medico, dalle forze dell’ordine. Se i servizi sociali ritengono che si tratti di una situazione d’emergenza, possono disporre il cosiddetto "allontanamento coatto" del minore dalla famiglia secondo quanto previsto dall’articolo 403 del codice civile. Si tratta di uno strumento estremo – attivato con l’aiuto della polizia locale – che suscita spesso polemiche.

I responsabili dei servizi possono agire in tempi brevi, sulla base delle proprie valutazioni. Talvolta, in casi di abusi, gravi maltrattamenti e altre situazioni di violenza, l’intervento si rivela quanto mai opportuno. In altre situazioni la situazione può essere più problematica. In ogni caso, dopo l’applicazione del "403", alle famiglie rimangono margini davvero esigui per contestare il provvedimento. Anche perché la segnalazione alle procure minorili arriva solo dopo alcuni giorni e spesso gli uffici giudiziari non dispongono di risorse per accertare in tempi brevi la fondatezza del provvedimento. Naturalmente non tutti i bambini che finiscono in affido familiare sono "vittime" o sono stati "salvati" dall’articolo 403. Secondo la procedura ordinaria è il giudice a stabilire qual è l’approdo più opportuno.

Quando manca una famiglia accogliente e non ci sono neppure parenti disponibili, si aprono così le porte delle comunità d’accoglienza, strutture, centri, case-famiglie che dir si voglia. In Italia sono circa tremila ma, anche in questo caso, nessuno lo sa con precisione perché manca un registro nazionale. Che siano troppe lo racconta la statistica stessa. Dodicimila minori per tremila "case" fanno più o meno quattro minori a testa, che costano comunque alle amministrazioni pubbliche una media di 120 euro al giorno.

Ma anche in questo caso non ci sono tariffe stabilite su base nazionale. Ogni regione, addirittura ogni Comune fa da sé. E il rimborso varia sulla base della tipologia dell’istituto/struttura. Dai circa 50 euro al giorno per bambino si arriva ai 300 e anche 400 euro nelle strutture che assistono minori con patologie complesse e disabilità. Tantissimo, in ogni caso.

TANTI PROBLEMI DA RISOLVERE CON URGENZA

L’inchiesta di Bibbiano ha rilevato che sono tante le questioni da risolvere: "buchi" legislativi e situazioni ad alto rischio che da anni gli esperti – quelli davvero preoccupati di mettere al primo posto i bambini – non si stancavano di segnalare. Tante le incongruenze. Come è possibile che nei piccoli Comuni, quelli al di sotto dei 5mila abitanti – e sono quasi l’80 per cento degli oltre 8mila Comuni italiani – l’operato dei servizi sociali venga affidato, attraverso convenzioni, a cooperative e associazioni, si svolga di fatto senza controlli? Come è possibile che basti la relazione di un assistente sociale per convincere un giudice minorile a dare il via libera all’allontanamento coatto di un bambino da casa? E come è possibile che contro quel provvedimento non esista di fatto possibilità di difesa, visto tra il trasferimento nella "struttura protetta" e la prima udienza passano in media 6-8 mesi? Periodo lunghissimo e straziante per un bambino che non comprende cosa stia succedendo, perché i genitori l’abbiano abbandonato, cosa debba rispondere a quegli improvvisamente diventati le sue figure adulte di riferimento.

E ancora: perché non imporre un tempo massimo per la convocazione della prima udienza di verifica dopo l’allontanamento? Nel diritto penale un pm ha 48 ore di tempo, per i minori passano mesi. Non si tratta di una grave ingiustizia? Perché non imporre criteri più rigorosi per l’applicazione della modalità di condurre l’ascolto del minore? Perché non introdurre il diritto al contraddittorio paritetico per i genitori, già prima dell’avvio ufficiale del provvedimento (peraltro diritto costituzionale)? Perché non uniformare le tariffe che le amministrazioni locali versano alle "case"-strutture-istituti? E, allo stesso tempo, i rimborsi decisi – ma non obbligatori – che vengono corrisposti alle famiglie affidatarie? Tanti, tantissimi problemi che potrebbero essere affrontati soltanto da una legge quadro di riordino di tutta questa complessa materia. Ma questo governo avrà tempo e voglia per affrontare una materia così complessa e così scomoda?

La proposta di riforma dell'affido e, soprattutto delle norme del Codice civile che riguardano l'allontanamento di un minore dalla famiglia d'origine, di cui è stata avviata nei giorni scorsi la discussione in Commissione Giustizia della Camera, prima firmataria Stefania Ascari (M5S), non soddisfa pienamente. Appare segnata da un garatismo globale che per alcuni versi sembra un po' utopico. Il testo verrà probabilmente integrato con le altre proposte presentate sull'argomento. Eventualità auspicabile perché questa bozza, tutta costruita sull'emotività dell'inchiesta di Bibbiano, rischia di presentare l'affido non come gesto solidale di una famiglia che ne aiuta un'altra, ma come scelta quasi unicamente giudiziaria, da temere se non da esecrare.

Nel frattempo attendiamo gli esiti dell’inchiesta dove, al di là dei clamori e delle condanne mediatiche preventive, ancora tanto rimane da accertare. Entro novembre i giudici dovrebbero chiudere l'inchiesta e presentare le richieste di rinvio a giudizio. E il processo? Forse entro la fine dell'anno o all'inizio del 2020. Ne parleremo ancora a lungo.

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