mercoledì 1 marzo 2017
Molti i punti critici, come il ruolo dei medici, vincolati alle Dichiarazioni anticipate di trattamento, nell'applicare l'«eutanasia passiva». Il caso di Dj Fabo rischia di fare prevalere l'emotività
La Camera dei deputati dal 13 marzo discuterà il disegno di legge sul fine vita (Ansa)

La Camera dei deputati dal 13 marzo discuterà il disegno di legge sul fine vita (Ansa)

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Il discusso disegno di legge sul «fine vita» andrà all’esame dell’aula alla Camera a partire da lunedì 13 marzo. L’ha deciso la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, che ha dunque deciso di fissare una data dopo l’incertezza seguita alla burrascosa approvazione del testo da parte della Commissione Affari sociali il 16 febbraio. C’è chi parla di un nuovo rinvio, visto che si era parlato di un approdo per la discussione nell’assemblea plenaria il 6 marzo, ma si tratta di una spinta dettata anche dall’onda emotiva della tragica fine di Fabiano Antoniani per suicidio assistito in Svizzera.

La distanza tra le posizioni in campo, che aveva portato al varo del testo in Commissione con l’assenza dei deputati critici verso il testo, aveva suggerito infatti ai protagonisti più moderati di entrambi i fronti di prendere il tempo necessario per trovare soluzioni più largamente condivise prima di presentarsi al confronto con tutti i deputati. E i punti sui quali un consenso ampio ancora manca sono di prima importanza: il disegno di legge infatti contempla ancora la possibilità per il malato di disporre la sospensione della nutrizione assistita (considerata dagli uni una terapia e dagli altri semplice sostegno vitale) anche se ciò comporta la propria morte.

Altro punto sul quale permane una distanza non ancora colmata è il vincolo per i medici sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, documento con le volontà di fine vita cui i professionisti della sanità dovrebbero attenersi senza alcun margine di azione né possibilità di fare obiezione di coscienza. Un dato critico anche per gli ospedali non statali – e in particolare per quelli d’ispirazione cristiana – che non potrebbero sottrarsi a forme di eutanasia passiva, con la morte per fame e per sete causata da azioni di medici costretti ad assecondare in tutto le volontà del paziente, significativamente sollevati in questo da responsabilità civili e penali.

Per risolvere problemi di questa portata, sui quali si gioca la vita e la morte della gente, non dovrebbe esserci fretta, e sarebbe doveroso arrivare a un articolato sul quale possa convergere la grande maggioranza del Parlamento e dunque del Paese. Allo stato delle cose, invece, la formidabile pressione mediatica del "caso dj Fabo" rischia di spingere in Aula un testo con alcuni evidenti punti critici e sul quale potrebbe registrarsi il voto favorevole di una maggioranza "anomala" (Pd-M5S-Sinistra italiana) con un’ampia componente dell’aula su posizioni più o meno apertamente critiche. Pur poco, ma c’è ancora tempo per rimediare. Lo si usi con coraggio e saggezza, senza tradire il radicato «favor vitae» e il saldo solidarismo che ispira la nostra Costituzione e l’intero sistema sanitario italiano.


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