Nel 2010 e nel 2011 la rete dei Centri di aiuto alla Vita (Cav) diffusa sul territorio nazionale ha accompagnato la nascita di oltre 20 mila bambini, assistendo circa 28 mila gestanti ed entrando in contatto con altre 40 mila donne: risultati ottenuti con una "rete basata esclusivamente sul volontariato" che spingono a domandarsi "quali risultati si potrebbero ottenere se un simile compito fosse svolto dalle strutture pubbliche con tutta la loro capacità organizzativa".Il Movimento per la vita presenta i dati della propria attività e nel rapporto che analizza i dati presenti nella Relazione inviata al Parlamento dal ministro Balduzzi sull'attuazione della legge 194/78 sull'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) rilancia la proposta di una riforma dei consultori familiari che assegni loro il compito di aiutare le maternità difficili.
I Centri di aiuto alla vita sono oltre 300, ma solamente due terzi hanno inviato i loro resoconti numerici alla segreteria del Movimento: ebbene, nel 2010, i 206 centri censiti hanno visto la nascita di 10.070 bambini, con 14.614 gestanti e altre 20.423 donne assistite. Nel 2011, i 195 centri che hanno trasmesso i propri dati hanno accompagnato la nascita di 10.078 bambini, con 14.850 gestanti e altre 20.901 donne assistite. Un'attività di prevenzione che, ragione il Mpv, la stessa legge 194 affida ai consultori pubblici, quando all'articolo 2 afferma che essi, anche con l'ausilio di associazioni del volontariato, "contribuiscono a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza". "Se l'obiettivoprincipale dei consultori è quello di evitare l'Ivg, sarebbe importante - afferma il Mpv - documentare i casi in cui l'intervento consultariale ha mutata in scelta di accoglienza alla vita una manifestata intenzione di aborto: trovare nell'annuale relazione non solo i numeri degli aborti (i morti), ma anche i numeri dei bambini aiutati a nascere avrebbe un significato educativo-culturale di prim'ordine". Per far questo, viene sottolineato, basterebbe una circolare ministeriale che prevedesse, ferma restando la privacy, una verbalizzazione del colloquio, delle attività compiute e dell'esito delle stesse, con particolare riguardo all'indicazione delle cause per cui l'Ivg viene richiesta.
I temi delle "vite salvate" e della "preferenza per la nascita" vengono avanzati per motivare la proposta di riforma dei consultori familiari: tema affrontato in una proposta di legge "che giace da tempo in Parlamento". "C'è stata una cattiva interpretazione della legge - afferma Carlo Casini - perchè la certificazione per l'aborto non è obbligo del consultorio ma del medico: la funzione del consultorio è opposta, è quella di aiutare a superare le difficoltà". Ecco allora che il Mpv immagina una situazione in cui il consultorio è "lo strumento con il quale lo Stato non rinuncia a difendere la vita", un luogo in cui insieme alla donna si cercano le modalità attraverso cui superare insieme le difficoltà che la maternità comporta. In questo quadro, il consultorio non rilascerebbe più alcuncertificato per l'aborto, che sarebbe responsabilità solamente del medico di famiglia o dell'ospedale. Il colloquio con il consultorio sarebbe comunque obbligatorio per ottenere tale certificato. Una riforma quindi che "per un verso definisca la funzione consultoriale come esclusivamente diretta a proteggere la vita e la maternità e non comprenda il potere di autorizzare l'aborto, e per l'altro renda obbligatorio il passaggioattraverso il consultorio della donna che è orientata ad abortire". Con la precisazione che il colloquio "non può essere solo informativo ma deve offrire anche aiuti concreti". Un modello, spiega Casini, "molto simile a quello in vigore in Germania".
Oltre ai consultori, il Mpv rilancia anche la modifica dell'articolo 1 del codice civile, per affermare che la capacità giuridica si acquista "al momento del concepimento" (oggi è "dal momento della nascita"). "È - spiega Casini - il riconoscimento di un principio di uguaglianza: il non ancora nato è uguale in dignità al già nato, il concepito è soggetto e non oggetto, è un fine e mai un mezzo, è una persona e non una cosa". Poichè, continua il presidente del Mpv, "l'esperienza prova che in un numero rilevante di casi la spinta verso l'aborto è data dalla insistita affermazione che in definitiva non c'è di mezzo un bambino, un figlio, ma un grumo di cellule, è importante che la legge dichiari che il concepito è un essere umano". Anche perchè, aggiunge il vicepresidente Pino Morandini, "non si tratta di una questione ideologica ma di civiltà: nessuna delle donne che in questi 33 anni i Centri di aiuto alla vita abbiamo aiutato si è mai pentita della scelta fatta di aver portato a termine la gravidanza e aver fatto nascere il proprio figlio, mentre settimanalmente riceviamo le visite di donne che hanno abortito e chiedono di essere aiutate ad elaborare il lutto. Il riconoscimento giuridico del concepito è un atto di civiltà". ( FONTE www.redattoresociale.it)