Maria Cristina Messa
«L’importanza della riabilitazione nei percorsi diagnostico- terapeutici sta diventando sempre più evidente. E gli Irccs della Fondazione Don Gnocchi possono anche contare su una grande quantità di dati da valorizzare». Da due settimane Maria Cristina Messa è il nuovo direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi: laureata in Medicina all’Università di Milano e specializzata in Medicina nucleare, è stata dapprima ricercatore e poi docente di Diagnostica per immagini e Radioterapia all’Università di Milano-Bicocca, ateneo di cui è stata anche rettore dal 2013 al 2019. L’attività clinica si è svolta prima presso l’Istituto San Raffaele di Milano e poi all’Ospedale San Gerardo di Monza. È stata vicepresidente del Consiglio nazionale delle ricerche dal 2011 al 2015 e, da ultimo, ministro dell’Università e della Ricerca nel governo Draghi. Ma oltre all’aspetto scientifico, precisa che «uno dei motivi per cui ho accettato l’incarico è la capacità della Fondazione Don Gnocchi, privato non profit, di portare a tutti la risposta a un bisogno».
Dopo due bioingegneri (Maria Chiara Carrozza, Eugenio Guglielmelli), alla direzione scientifica della Don Gnocchi torna un medico. Cosa cambia?
Ognuno si porta dietro la propria storia, e prima che di ricercatore la mia è quella di medico: chi si laurea in medicina non “fa” il medico, ma “è” medico. Credo che dal punto di vista delle priorità avrò una linea di continuità con i miei predecessori. Le modalità attraverso cui interagisco con gli altri sono probabilmente diverse, ma non stravolgo mai l’ambiente in cui vado a lavorare.
Nel suo saluto al personale ha detto che «l’integrazione tra ricerca, innovazione e assistenza è fondamentale per il continuo miglioramento delle cure». Come intende declinarlo?
In tutti gli Irccs c’è totale integrazione tra chi fa ricerca e chi fa clinica, i due aspetti devono fondersi. Che però è più facile a dirsi che a farsi. Credo che alla Don Gnocchi questo sia già presente in nuce: mio principale obiettivo sarà facilitare questa integrazione e questo aiuto reciproco, sempre più importante, tra il clinico, il ricercatore di base, l’esperto dei dati, l’informatico, l’ingegnere... Questo è ancora più necessario nella specialità degli Irccs della Fondazione Don Gnocchi: la medicina riabilitativa, che vive una nuova era per rispondere ai bisogni dovuti all’aumento della cronicità delle malattie. Compito dell’integrazione tra ricerca, innovazione e clinica è comprendere le basi biologiche, capire quali cambiamenti funzionali e morfologici avvengono in seguito a una cura e verificarne l’efficacia in maniera rigorosa, simile a quella che si usa per i farmaci. Sembra semplice ma non lo è.
Come si può valorizzare il ruolo del privato sociale della Fondazione Don Gnocchi in un ambito, quello della riabilitazione, che è spesso trascurato dallo stesso mondo medico?
Uno dei motivi per cui ho accettato volentieri di lavorare nella Fondazione Don Gnocchi è proprio perché è un privato non profit. Credo molto in questa capacità di saper portare a tutti – è il punto fondamentale – l’aiuto e la risposta necessaria a un bisogno. L’importanza della riabilitazione nei percorsi diagnostico-terapeutici sta diventando più sentita non solo da noi, o da chi ha a che fare con disabilità e invecchiamento, ma anche dalle imprese, che – per esempio – predispongono piattaforme per la rieducazione basata sul digitale. Il cambiamento si percepisce anche da quanto il sistema della salute punta sulla medicina del territorio e sulla telemedicina. Il vero pericolo della digitalizzazione e dell’utilizzo delle tecnologie in medicina è il peggioramento dell’equità nella somministrazione delle cure. Credo che una realtà come la Fondazione Don Gnocchi possa diventare un modello positivo.
C’è qualche linea di ricerca della Fondazione Don Gnocchi che più la interessa?
Credo che potrò essere più d’aiuto nello sviluppare metodi di cura e trattamento individuali basati sulle diagnosi, sia con imaging sia basati su caratterizzazione biologica. La Fondazione Don Gnocchi ha sviluppato metodi di riabilitazione sia cardiorespiratoria sia neurologica, che andranno potenziati e magari integrati nello sviluppo della riabilitazione oncologica. Poi ci sono i temi della salute in relazione all’invecchiamento, in cui la Don Gnocchi ha molti dati da utilizzare, così come quelli sulle patologie rare o dello sviluppo.
Cosa ne pensa dell’intelligenza artificiale (IA) applicata alla medicina? Quali sono i rischi e quali le opportunità?
Penso che l’IA entrerà a far parte della pratica clinica, come lo è già nella diagnostica per immagini. Le potenzialità sono tante, ma l’applicazione alla sanità è ancora incerta perché ci sono da risolvere alcune criticità, e la tecnologia corre veloce. Intanto l’aspetto etico- regolatorio di cui l’Europa sta interessandosi, ma con il rischio che le regole nascano vecchie: devono stabilire principi, senza limitare troppo l’applicazione. In secondo luogo, occorre un programma formativo non solo degli utilizzatori (medici, infermieri, tecnici) ma anche dei cittadini. Uso macchine per fare diagnosi, e so quanto è difficile e anche sbagliato dire a un paziente che il responso lo dà una macchina e non una persona. Serve una fiducia nel sistema, che si crea anche dando competenze di base, che si possono fornire solo a partire dalla scuola. Anche la ricerca in campo biomedico potrà essere facilitata dall’uso dell’IA: per esempio per testare i farmaci riducendo i trial preclinici su animali, o per capire la struttura di una proteina e la sua funzione, e cosi via. © RIPRODUZIONE RISERVATA Cristina Messa