Non pare esserci più speranza per il piccolo Charlie. Ieri sera la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha annullato le “misure preventive” che aveva adottato per difendere la vita del bambino inglese di dieci mesi contro il quale era stata emessa una sentenza, che ne decreta di fatto la morte, prima dall’Alta Corte e poi dalla Corte Suprema della Gran Bretagna. I medici del Great Ormond Street, l’ospedale di Londra dove il piccolo è tenuto in vita con un respiratore da ottobre, ora possono staccare la spina. Non è certo quello che volevano i genitori, Chris Gard e Connie Yates, che hanno lottato con tutte le loro forze e i loro mezzi per ottenere il permesso di portare il figlio negli Stati Uniti dove lo attendevano cure sperimentali. E non è nemmeno la decisione che avrebbero preso le migliaia di persone che hanno alimentato con le loro donazioni un fondo dedicato a Charlie: oltre un milione e mezzo di euro, una somma che sarebbe stata più che sufficiente per coprire le cure per il piccolo negli Stati Uniti. Ma per la sanità e la giustizia britannica – e ora anche per Strasburgo – curare il bambino, che soffre di una grave e rarissima malattia genetica del mitocondrio, equivarrebbe ad «acca- nimento terapeutico». Charlie, sostengono i medici, non ha alcuna speranza di sopravvivere e tenerlo in vita significa solo prolungare le sue sofferenze. È molto probabile, hanno concluso ieri i giudici europei, che «Charlie stia soffrendo pene costanti» e «sottoporlo a cure sperimentali con nessuna prospettiva assodata di successo non recherà al piccolo alcun beneficio». La Corte Europea ha così spiegato di non poter accogliere la richiesta dei genitori. È molto probabile, riferiva ieri sera la Bbc, che la macchina che tiene in vita il piccolo sarà spenta nel giro di pochi giorni, «il tempo necessario» per dare spazio ai genitori e allo staff dell’ospedale di «mettersi d’accordo». Nel ricorso alla Corte di Strasburgo i genitori del bimbo avevano sostenuto che l’ospedale aveva bloccato l’accesso a un trattamento per mantenere in vita il piccolo negli Stati Uniti violando così il diritto alla vita e anche quello alla libertà di movimento. Inoltre, avevano denunciato le decisioni dei tribunali britannici «come un’interferenza iniqua e sproporzionata nei loro diritti genitoriali».
Ma ieri la Corte di Straburgo ha ribadito che non spetta a lei il compito di sostituirsi alle competenti autorità nazionali. In un comunicato si legge infatti che «le decisioni dei tribunali nazionali sono state meticolose e accurate e riesaminate in tre gradi di giudizio con ragionamenti chiari ed estesi che hanno corroborato sufficientemente le conclusioni a cui sono giunti i giudici». Il caso del piccolo ha profondamente commosso la nazione soprattutto dopo che i genitori avevano pubblicato online alcune foto di Charlie con gli occhi aperti sul tetto del Great Ormond Street Hospital. «Ci sentiamo abbandonati dalla giustizia britannica – aveva detto qualche giorno fa la mamma del piccolo –. I medici in America sostengono che non c’è motivo per cui la terapia non debba funzionare su Charlie e ogni genitore, ne siamo convinti, lotterebbe fino in fondo come stiamo facendo noi». Per loro l’ultima speranza era Strasburgo.
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Le ragioni del cuore non sono però le stesse della medicina ufficiale e della giustizia: due corti inglesi si sono infatti espresse perché la vita di Charlie venga lasciata spegnere insieme al respiratore. L’ultimo verdetto, il 9 giugno, era stato emesso dalla Corte suprema inglese, organo di ultimo livello in patria.
Per evitare l’esecutività immediata di quella che ai sostenitori della causa di Charlie in tutto il mondo è parsa una condanna a morte comminata dallo Stato su un bambino colpevole solo di essere malato a Connie e Chris non è rimasto che appellarsi alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo chiedendo un provvedimento d’urgenza che fermasse la procedura di morte. Il 13 giugno i giudici espressione del Consiglio d’Europa hanno ascoltato l’appello disperato dei due e hanno chiesto una settimana di tempo per valutare la questione. Al termine di questo periodo di riflessione, il 19 giugno, hanno però chiesto ulteriore tempo.
«Alla luce delle circostanze eccezionali – si legge nel comunicato uscito nella serata del 19 dall’aula giudiziaria di Strasburgo – la Corte ha già accordato priorità al caso e procederà a valutare il ricorso con la massima urgenza». Nell’attesa del verdetto, i giudici europei avevano disposto che a Charlie venissero somministrate le cure «più appropriate». Oggi l'esito più temuto.