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La lotta per arginare in Europa l’utero in affitto dovrà ormai pure tener conto degli effetti di un nuovo parere consultivo emesso oggi dalla Corte europea dei diritti umani (Cedu). Sollecitati dalla Corte di cassazione francese sul nodo specifico della trascrizione anagrafica della "madre intenzionale" non biologica, i giudici europei hanno sostenuto l’obbligo per gli Stati di un riconoscimento con soluzioni rapide di questo legame filiale, sia pure non necessariamente attraverso trascrizioni pedisseque fra registri di stato civile. Una posizione che rischia ancor più di legittimare nei fatti la surrogata anche laddove è vietata, come in Francia. A partire dal caso della famiglia Mennesson, che nel 2000 fece ricorso alla surrogata in California per la nascita di due gemelle, i più alti magistrati francesi hanno interrogato i colleghi della Cedu sui "margini" che lo Stato ha rispetto alla "madre intenzionale".
Per la Cedu, deve valere il «rispetto della vita privata del bambino», ovvero innanzitutto il suo diritto a godere di una famiglia. Tale priorità, argomentano i giudici europei, «richiede che il diritto interno offra in modo celere una possibilità di riconoscimento del legame di filiazione fra il bambino e la madre intenzionale», quando è stata già riconosciuta come "madre legale" all’anagrafe dello Stato estero. Per riconoscere tale legame, secondo il foro europeo, lo Stato di riferimento della coppia non è obbligato a trascrivere interamente l’atto di nascita estero. Sono possibili «altre vie», fra le quali «l’adozione del bambino da parte della madre intenzionale».
Ma l’approccio apparentemente tecnicistico della Cedu corrisponde davvero a una posizione neutra verso la surrogata? Già oggi, in proposito, diversi osservatori evocavano, al contrario, una decisione dal sapore politico. Da parte loro, nello specifico, i Mennesson hanno considerato il pronunciamento come «una grande vittoria».
In Francia, il riconoscimento nei registri di stato civile dei bambini nati da surrogata all’estero e dei relativi legami filiali resta il simbolo della frontiera sfumata fra il divieto formale della pratica e l’accettazione indiretta sempre più estesa della stessa surrogata. La trascrizione dei bambini allo stato civile si è parzialmente diffusa nella scia di una sentenza europea della Cedu, nel 2014, proprio sul caso Mennesson. Ma per quanto riguarda le madri, i fori transalpini hanno difeso il principio della "realtà del parto", ribadito nel 2017 dalla Corte di cassazione, dunque il divieto di trascrivere nei registri la "madre intenzionale", al di là delle diciture negli atti di nascita stranieri.
Formalmente, la decisione di Strasburgo non impone alla Francia di stravolgere quest’ultima prassi. Ma a proposito della pratica illegale all’origine del dilemma, il pronunciamento si limita solo ad evocare vagamente i «rischi di abusi» legati alla surrogata. Una posizione asettica subito deplorata da più parti. L’associazione francese Alliance Vita è stata fra le prime a biasimare il carattere «gravemente ambiguo» della decisione della Cedu. «Se questo parere ha appena dato ragione alla Francia, riguardo al suo rifiuto di trascrivere gli atti di nascita menzogneri prodotti all’estero, esso contribuisce purtroppo a relativizzare questa frode verso la legge», ha commentato Tugdual Derville, delegato generale dell’organizzazione al servizio dei più fragili, aggiungendo: «Infatti, la Cedu intima agli Stati di stabilire un legame di filiazione, con adozione o con qualsiasi altro mezzo, fondandosi unicamente sul fatto compiuto di una surrogata all’estero. Questa posizione ambigua ostacola la realizzazione del divieto di qualsiasi surrogata».
Da parte sua, l’associazione dei Giuristi per l’Infanzia ha additato come capziosa una parte della argomentazione della Cedu, che «persiste a voler considerare che la filiazione materna del bambino non è riconosciuta in Francia per via dell’assenza di trascrizione, il che è falso: la filiazione che discende da atti esteri, anche non trascritti, produce effetti in Francia». Un’analisi, questa, tesa più in generale a relativizzare il cosiddetto argomento dei bambini "fantasmi della Repubblica", spesso impiegato nello specifico dibattito transalpino.