Con il via libera alla fecondazione eterologa si finisce per «identificare il piano dei desideri con il piano dei diritti» con una resa della «cultura giuridica» al «dominio della tecnoscienza» dimenticando che «il figlio è una persona da accogliere e non l'oggetto di una pretesa resa possibile dal progresso scientifico».
È il giudizio espresso dalla Presidenza della Cei in una dichiarazione diffusa dall’Ufficio comunicazioni sociali nella quale si prende posizione «in merito alla decisione della Corte Costituzionale in materia di fecondazione eterologa medicalmente assistita» assunta mercoledì dai giudici della Consulta.
«La decisione della Corte Costituzionale, verso il cui operato si conferma il necessario rispetto – si legge nel comunicato – entra nel merito di una delicata esperienza umana. Il desiderio di avere un figlio è profondo ed indiscutibile e merita il massimo rispetto e la più delicata comprensione».
Tuttavia, «in attesa di conoscere le relative motivazioni della Corte Costituzionale», la Presidenza della Cei ritiene «doveroso segnalare alcuni nodi problematici che suscitano dubbi e preoccupazioni, sotto il profilo antropologico e culturale». Anzitutto con la sentenza della Consulta «viene affermato un non meglio precisato "diritto al figlio" o "diritto alla genitorialità", col rischio di confondere o, peggio, identificare il piano dei desideri con il piano dei diritti, sottacendo che il figlio è una persona da accogliere e non l'oggetto di una pretesa resa possibile dal progresso scientifico».
Il verdetto dei giudizi costituzionali poi «assume come parametro di valore un preteso diritto individuale, sganciato da qualsiasi visione relazionale», ma così facendo «si trascura, tra l'altro il diritto del figlio a conoscere la propria origine biologica». Inoltre «si cambia e si snatura il concetto e l'esperienza di paternità e di maternità, che sono elementi preziosi per l'unità profonda e inviolabile della coppia».
Infine, nota ancora la Cei, «si determina un pericoloso vuoto normativo nel quale rischia di essere legittimata ogni tecnica di riproduzione umana. La cultura giuridica non dovrebbe semplicemente avvalorare il dominio della tecnoscienza, ma porsi la questione del senso e anche quella del limite. Infatti, come la storia ha dimostrato, non tutto ciò che è fattibile giova al genere umano».