Don Alvaro Granados - .
La malattia l’ha costretto a rinunciare all’insegnamento alla Pontificia Università della Santa Croce. Ma in una parrocchia romana ascolta chi cerca una guida. E sta diventando un riferimento per gli ammalati Appena varcata la soglia della parrocchia di San Josemaría Escrivá, quartiere Ardeatino di Roma, si viene subito immersi nella luce che dalle grandi finestre della chiesa irrompe nell’unica navata. La stessa luce che si percepisce negli occhi di una signora che si è appena confessata da don Alvaro Granados.
Sono le 10.30 di un venerdì mattina e il sacerdote spagnolo, nonostante sia malato di Sla da sei anni, non rinuncia al suo ministero. Dopo aver concelebrato la Messa nella cappella feriale, si dedica nel suo studio alle visite di amici e parrocchiani, così come fa tutti i giorni. Un’ora e mezza al mattino e un’ora e mezza al pomeriggio. Alle sue spalle c’è il quadro di un vicolo di paese, un dono che proprio qualche giorno fa alcuni di loro gli hanno portato. «Mi fanno sentire vivo e ben voluto – dice don Alvaro –. A volte vengono per confessarsi, mi parlano dei loro problemi spirituali e familiari. A volte invece vengono solo per un saluto e per portarmi un piccolo regalo. Sono molto contenti di vedermi, ma sono io quello che riceve più benefici da questi incontri, così come dalla vicinanza dei miei familiari e dei sacerdoti. Credo che ogni malattia si possa vivere bene solo se si è circondati di persone che non ti fanno sentire un peso. Che ti dimostrano il loro amore». E il pensiero del sacerdote va anche agli operatori sanitari che lo curano quotidianamente. «Con loro ho un rapporto che oltrepassa quello professionale. Sono straordinari, trascorriamo insieme nove ore al giorno. Posso dire che ci divertiamo. Grazie a Dio e a tutte queste persone sto vivendo con grande serenità».
Don Alvaro ha sessant’anni. Una vita dedicata alla direzione spirituale di sacerdoti e fedeli e alla pastorale in parrocchia. Attività che, nonostante tutto, continua a portare avanti nella parrocchia di San Josemaría. È nato a Madrid nel 1964, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Universidad de La Laguna a Tenerife nel 1988 ed è venuto a Roma per studiare teologia fondamentale all’Università della Santa Croce, dove nel 1996 è diventato dottore in Filosofia, con specializzazione in Antropologia filosofica. È stato ordinato sacerdote nel 1994 e tra gli anni 1995 e 2006 ha esercitato il suo ministero come formatore presso il Collegio Ecclesiastico Internazionale “Sedes Sapientiae”. È stato anche rettore del Collegio sacerdotale Tiberino e nel 2009 presso la Lateranense ha conseguito il dottorato in Teologia pastorale, che ha insegnato alla Santa Croce fino a quando la Sla non ha fatto irruzione nella sua vita. «Inizialmente mi sono accorto di non avere più la sensibilità del piede destro. Così, dopo alcune visite mediche mi hanno diagnosticato la malattia. Prima ho perso il movimento degli arti inferiori e poi di quelli superiori. Da un anno sono completamente immobilizzato. Posso muovere solo la testa, la mandibola e la bocca».
Questo però non gli ha impedito di continuare a essere un sacerdote a tutto tondo. Cioè, un uomo di relazioni. Con Dio e con i fedeli. « È una malattia pesante, dura – dice della Sla –, ma mi ha permesso di maturare e soprattutto di capire quali sono le cose che veramente contano nella vita. Oltre al valore della fede cristiana, in questi anni di infermità, ho scoperto e riscoperto il grande valore delle relazioni umane, ciò per cui vale veramente la pena lottare in questo mondo. Chi ha molte relazioni con le persone è ricco, chi non ne ha è povero». Ed è proprio da una relazione che sono nati i video che don Alvaro pubblica su YouTube da un anno, in cui commenta il Vangelo per i malati. «Questi video sono soprattutto il frutto della testardaggine di un mio caro amico dottore, che si impegna a realizzarli. Io da solo avrei mollato subito. Invece, grazie al suo incoraggiamento, sono andato avanti. Mi auguro che possano essere utili a chi come me è nella sofferenza. E spero di poter dare un senso alla malattia di altre persone anche da sacerdote infermo».
La forza, dice senza mezzi termini don Alvaro, gli viene dal Vangelo. Qual è la pagina che sente più vicina in questo momento? «C’è l’imbarazzo della scelta – risponde –. Ma mi ricordo spesso il passo della vedova al tempio, che con due spiccioli riesce a entusiasmare Cristo, cioè Dio. Io penso che offrendo a Lui le piccole cose della mia malattia, gli acciacchi, un dolore improvviso, un momento di disagio, è come se mi avvicinassi al comportamento della vedova. Non sto dando niente concretamente, ma per Dio è tanto, è tutto. Lo riempie di amore. Offrendo i piccoli e grandi disagi che attraverso, posso colmare di gioia il cuore di Dio. Questo mi entusiasma e mi aiuta a dare un senso alla mia malattia». La forza gliela danno anche gli insegnamenti di san Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, canonizzato nel 2002 da papa Giovanni Paolo II. È a lui che è dedicata la parrocchia dove don Alvaro risiede attualmente. « Egli diceva che le persone più importanti della Chiesa sono i malati. Essi hanno accompagnato la storia del cristianesimo. Da sempre ci sono persone che offrono con amore e con fede a Dio la propria malattia, diventando come le fondamenta della comunità ecclesiale. Solamente quando saremo nell’altra vita capiremo quanta importanza hanno avuto i malati nel sostenere la Chiesa e l’umanità con il proprio sacrificio silenzioso di accettazione della malattia come offerta a Dio in Cristo».
Ed è proprio a chi come lui è nella sofferenza che don Alvaro vuole mandare un messaggio. «Ai malati vorrei dire che giochiamo un ruolo importantissimo in una società che sta diventando sempre più individualista. Aiutiamo tutti a essere rispettosi delle persone in quanto tali. Questo è particolarmente importante oggi, perché dilaga la tendenza a valutare la persona solo per la sua utilità, per quanto guadagna, per quanto è bella, per quanto fa rendere un’azienda. Invece no, l’essere umano ha un valore infinito solo per il fatto di essere tale. Noi malati ricordiamo a tutta la società questo principio fondamentale: la dignità infinita della persona, come insegna il dicastero della Dottrina della fede nel recente documento Dignitas infinita ». Infine, anche un pensiero per Salvatore Mazza, vaticanista di Avvenire morto di Sla il 26 dicembre 2022: «Durante la sua malattia ha offerto tanti scritti, incoraggiando tutti ad affrontare il proprio calvario», ricorda il sacerdote. Che ci tiene a salutare e ringraziare in modo particolare i membri di Aisla, l’Associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica: «Bisogna credere fortemente in questa associazione. Le difficoltà sono tante, a volte ci sembra di scalare una montagna infinita. Ma i frutti stanno arrivando e arriveranno in futuro. Grazie per quello che fate. Con queste parole – conclude – vorrei salutarvi tutti, con l’augurio di vivere con pace e tranquillità gli anni che Dio vorrà donarci. Evviva la vita».
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