Nel continente asiatico la maternità surrogata vede una varietà di situazioni, ma qui più che altrove la legge risulta quasi ovunque restrittiva e ovunque risente fortemente di fede e cultura. In India il governo sta esaminando provvedimenti legislativi per regolare un’industria della fertilità di ampie dimensioni rivolta all’interno e all’estero. Giappone, Corea del Sud e Thailandia non hanno alcuna legge in proposito, anche se allo studio una qualche regolamentazione, Taiwan si interroga come mediare sensibilità, convenzioni, aspirazioni riguardo il fenomeno.E la Cina, in rapida evoluzione demografica? La legge nella Repubblica popolare cinese proibisce il fenomeno, ma lascia di fatto le porte aperte sia alla disponibilità di donne cinesi come madri surrogate, sia alla ricerca di soluzioni alternative per proprie coppie che le cerchino al di fuori del paese. Molti osservatori ritengono che una maternità sostitutiva legalizzata nell’immenso paese asiatico potrebbe portare a seri problemi etici, legali e sociali, ponendo in discussione l’etica dominante, con danni psicologici anche per le madri surrogate e per i figli da essi nati. Non a caso, mentre in molte nazioni si iniziava a discutere di un fenomeno allora appena delineato, nel 2001 il ministero della Sanità emetteva un regolamento dove si proibiva ogni pratica di maternità sostitutiva e che anche successivamente, non a caso con la collaborazione dell’Esercito popolare di liberazione, sono state lanciate campagne per eliminare un «problema» cresciuto tra le pieghe di uno sviluppo accelerato e di una rapida evoluzione degli stili di vita.Una situazione collegata all’evoluzione contemporanea delle problematiche adottive e della politica del figlio unico, ma anche a un benessere più diffuso che ha ricollegato le classi vecchie e nuove del paese alle loro antichi usi di concubinaggio e di figliolanza «ideale» al fine di perpetuare genealogia e benessere del clan.Come sottolineato da un funzionario del ministero della Sanità rispondendo alle domande dei giornalisti «il ministero ha ordinato a tutte le istituzioni responsabili di indagare sui regolamenti in atto riguardo le tecnologie di riproduzione assistita e ha chiesto a tutti gli esperti di medicina, diritto, etica e sociologia di discutere della maternità surrogata e delle questioni a essa connesse».Il mercato della maternità resta fertile, in particolar nelle provincie meridionali. Le statistiche riferite alla megalopoli di Shanghai mostrano che il numero annuo di bambini nati da fertilizzazioni in vitro ha superato i 20mila nel 2011, tuttavia gli ospedali non sono in grado di far fronte a tutte le richieste e di conseguenza molte coppie ricorrono a pratiche illegali.A sua volta, la richiesta ha contribuito a incentivare un mercato sotterraneo di donne disponibili a far crescere nel loro grembo figli per procura. Un fenomeno che si nota in particolare nelle città di Dongguan e Shenzhen, nella provincia meridionale del Guangdong, dove il costo complessivo per accedere a una maternità surrogata ha superato i 100mila euro. Di Guozeng, membro della China law society ricorda che questa pratica è del tutto fuorilegge. «Prendere in affitto l’utero di una donna o trarne da esso un profitto è immorale perché non si può fare commercio degli organi umani. Di conseguenza, non ha alcun rilievo se le parti coinvolte hanno una qualche forma di accordo. L’atto è illegale e non sarà tutelato dalla legge». Una situazione che inoltre pone a rischio le madri e i figli, che non possono godere di alcuna tutela legale o medica.Non solo. Ad esempio, chiede ancora Di: «Chi potrebbe essere legalmente definito genitore in queste situazioni?». Un elemento non secondario data la tradizionale struttura confuciana ereditata dalla Cina contemporanea e ancora in buona parte accolta nella legislazione, con forte accento su genealogia e eredità. Intanto i ricchi cinesi sterili guardano agli Usa. Non esistono dati ufficiali, ma si stima che il giro d’affari valga 120 milioni di dollari. Crescenti benessere e sterilità nella patria di Mao e Confucio (ora riguarderebbe il 12,5% della popolazione cinese in età fertile) proiettano queste cifre verso un’ulteriore crescita.