Con 44 voti a favore e 28 contrari,
il Senato federale canadese ha approvato la legge che introduce il "sucidio assistito". Dopo anni di serrato dibattito e di campagne a favore e contro, l’eutanasia – perché è di questo che si tratta – è dunque legale anche a livello federale dopo che una norma analoga era già entrata in vigore nello Stato francofono del Quebec. A una prima clamorosa bocciatura in Parlamento, nel 2010, i sostenitori della "morte a richiesta" avevano risposto appoggiando una serie di battaglie legali affrontate da malati gravi che chiedevano la cancellazione del divieto di provocare la morte di una persona che lo chiede, e fornendo loro eco politica e mediatica. La vicenda giudiziaria che ha fatto da apripista alla legge è arrivata nel febbraio del 2015 con la sentenza Carter emessa dalla Corte Suprema federale, che ha autorizzato la sospensione della legge penale contraria all’eutanasia di fronte a casi specifici chiedendo al Parlamento di legiferare entro un anno. Sebbene dodici mesi dopo la legge ancora non ci fosse, il tempo non è passato invano: le elezioni del novembre scorso hanno infatti rovesciato la maggioranza al governo facendo passare all’opposizione i conservatori, in gran parte ostili a una legge liberalizzatrice, e affidando il potere decisionale a Ottawa ai liberali del giovane premier Justin Trudeau, apertamente favorevole all’eutanasia anche a motivo della vicenda del padre che aveva lottato a lungo contro il tumore. In febbraio Trudeau ha chiesto alla Corte altri 4 mesi di tempo per presentare alle Camere una legge: richiesta accolta con la concessione ai tribunali locali della facoltà di approvare le domande di suicidio assistito. La prevedibile battaglia parlamentare ha allungato di qualche giorno i tempi oltre la scadenza del 6 giugno, col voto finale arrivato nella serata di venerdì 17. Ultimo passaggio della legge per entrare in vigore è l’approvazione reale – il Canada fa parte del Commonwealth –, di fatto una semplice formalità.
La legge – catalogata con la sigla «C-14» – fissa alcuni criteri per l’accesso all’esecuzione dell’eutanasia in strutture pubbliche o private: la maggiore età, una malattia incurabile o grave (ma non terminale, come si chiedeva con un emendamento restrittivo), il declino avanzato e irreversibile delle proprie facoltà, la sofferenza duratura e insostenibile, la richiesta di una persona consaspevole e consenziente e la copertura di un’assicurazione del paziente che azzeri i costi per lo Stato. Morte a richiesta sì, ma non deve costare nulla ai contribuenti. Si tratta di criteri in gran parte soggetti a interpretazione e dunque – è la tesi di chi si è opposto alla legge, come la combattiva
Euthanasia Prevention Coalition – propizi a un più che probabile allargamento delle maglie. «È una legge veramente orribile – è il giudizio lapidario di Alex Schadenberg, leader della rete associativa contraria al provvedimento – peggio di quelle olandese e belga». In particolare, oggetto di critica è l’ambigua espressione «morte naturale ragionevolmente prevedibile» dettata come condizione per ottenere l’assenso all’eutanasia e a tal punto generica da far temere interpretazioni assai discutibili, come l’apertura a disabili, dementi e minori. Altro punto controverso, e sinora irrisolto, è quello che riguarda l’obiezione di coscienza.
La Chiesa è scesa in campo al fianco del fronte contrario alla legge con un’opera educativa capillare, passata per la diffusione di materiale informativo in tutte le parrocchie, a cura della Conferenza episcopale, con i vescovi impegnati nelle proprie diocesi. È il caso
dell’arcivescovo di Toronto, cardinale Christopher Collins, che ha diffuso un messaggio letto a inizio marzo nelle Messe di tutte le 225 parrocchie della sua diocesi, la più estesa del Canada, nel quale chiedeva tra l’altro di rispondere alla campagna pro-eutanasia con un supplemento di solidarietà verso i malati e le loro famiglie.