Già, l’ascolto. Una parola che torna sempre tra i corsisti. «Nel servizio che offriamo servono tatto e ascolto – dice don Giorgio Lisci, che si occupa di pastorale della salute nella diocesi sarda di Ales-Terralba –. L’ascolto è già cura. Ecco perché bisogna curare la formazione dell’ascolto e della relazione, con l’empatia giusta». Don Giorgio segue questa specifica pastorale dal 1994, e spiega come sta cambiando: «Si è passati dalla cura esclusiva del malato a una pastorale che si è fatta carico degli operatori sanitari, fino alla pratica di oggi, che offre l’accompagnamento a tutto il mondo della sofferenza, della disabilità, e delle rispettive famiglie ma senza prescindere dall’impegno delle comunità parrocchiali. La croce va portata assieme».
Anche di questo si discute ad Assisi, fino a domani, sul tema «Ero malato e mi avete visitato». «Sono un ripetente – afferma sorridendo Giorgio Fissore, che arriva da Torino –. Avevo già preso parte a un corso simile ma quest’anno sono tornato perché lo scambio di esperienze forma. E la condivisione aiuta a perfezionarsi». Fissore è un diacono pemanente e co-cappellano nell’ospedale di Verduno (Cuneo). «Stiamo passando da una corresponsabilità battesimale a una collaborazione ministeriale – sottolinea –, fatta di cura, compassione, vicinanza, ma soprattutto di ascolto e relazione. Da laici, abbiamo ricevuto il sacerdozio battesimale, dobbiamo metterlo in pratica. È un atto che ci rende responsabili. Non è certo uno scandalo che un’infermiera benedica un moribondo in una situazione straordinaria come quella vissuta nella pandemia – osserva –. Mi ritengo un ministro dell’ascolto che è un punto di riferimento etico-spirituale». La mancanza di preti, evidenzia poi Fissore, «ha fatto sì che per noi laici si schiudessero molte opportunità di impegno».
Una visione condivisa da Maria Hofer, che arriva dalla diocesi di Bolzano-Bressanone con un’altra originale esperienza: «Lavoro come assistente spirituale nell’ospedale di Bolzano, da dipendente. Ho fatto studi teologici e mi sono formata sia in Italia sia a Salisburgo. A Bolzano abbiamo iniziato a disegnare questi percorsi 30 anni fa, siamo stati dei precursori». C’è una sorta di valore aggiunto nel suo bagaglio: «Portiamo la nostra "visione" di realtà bilingue, che spesso ci porta a compiere studi in Germania e in Austria. Così ci arricchiamo ulteriormente. Credo che occorra sviluppare il lavoro in équipe miste, ognuna con il proprio carisma. Oggi c’è un grande bisogno di accompagnamento. E l’ospedale è solo l’inizio di un percorso di supporto».
Dunque, sui mutati bisogni di un periodo senza precedenti, la Chiesa ridefinisce le priorità. Da un punto fermo: «La pastorale della salute continua ad abitare i luoghi della sofferenza, tutti», sintetizza il direttore dell’Ufficio Cei di Pastorale della salute, don Massimo Angelelli. «Se per tanti anni il modello è stata centrato su ospedali e case di cura, adesso stanno cambiando i modelli di sanità per incidere sempre più al domicilio e sul territorio. Anche noi – aggiunge Angelelli – siamo chiamati a rimodellarci sia nelle strutture sia nei territori. La pastorale della salute opera in un contesto medico-scientifico e offre una preparazione molto alta». E questi corsi residenziali «diventano luoghi di formazione, come i progetti online, che sfruttano piattaforme in grado di raggiungere tutti. Essere un cappellano ospedaliero o un assistente spirituale richiede un alto livello di formazione anche per le sfide bioetiche che abbiamo di fronte. Mi aspetto che le proposte dell’Ufficio arrivino nei territori, e direttamente nelle parrocchie, e che questa sensibilità nei confronti della pastorale della salute cresca in tutta la Chiesa italiana».