venerdì 1 febbraio 2019
Dati incerti, Regioni e Comuni in ordine sparso, applicazione confusa: bilancio a un anno dall'entrata in vigore, il 31 gennaio 2018, della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat).
Biotestamento un anno dopo, caos annunciato

FRANCO SILVI

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Disordine e caos. A un anno dall’entrata in vigore della legge 219 (approvata a fine 2017, ma vigente dal 31 gennaio 2018) sul testamento biologico nelle città italiane si respira una grande confusione sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat). In pochi, dopo 12 mesi, hanno voluto depositare le proprie dichiarazioni e, comunque, al di là dei proclami, mancano gli strumenti necessari, a partire dalla Banca dati delle Dat. Anche se la legge è stata spesso presentata come prioritaria e di fondamentale interesse per l’opinione pubblica, il Ministero della Salute non ha raccolto ancora alcun dato sulle effettive dichiarazioni depositate. Intanto, i numeri che arrivano dai Comuni sono disarmanti: a Torino, per esempio, su circa 900mila abitanti, sono state depositate 1.476 Dat (appena lo 0,16%), mentre a Milano su 1.380.000 abitanti ne sono state raccolte 3.616 (lo 0,26%: 1.253 uomini e 2.363 donne, con un’età media di 63 anni).

Dal punto di vista operativo, la situazione si presenta disomogenea in tutta Italia e non sono ancora state indicate con precisione neppure le modalità di raccolta, di gestione, archiviazione e conservazione delle disposizioni: in teoria, dovrebbero essere facilmente fruibili per i medici nel momento in cui abbiano in cura il paziente che non sia in grado di autodeterminarsi, ma la realtà è ben diversa. La legge prevede che le Dat siano «redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del Comune di residenza» e che le Regioni «che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche» possano, con proprio atto, «regolamentare la raccolta di copia delle Dat». La conseguenza è una situazione a macchia di leopardo, con contraddizioni e disuguaglianze. Alcuni Comuni hanno redatto, per proprio conto e con forme differenti, un regolamento cittadino per organizzare al meglio le dichiarazioni. A ottobre la Regione Toscana ha approvato un regolamento con le indicazioni su raccolta, registrazione, codifica, conservazione e consultazione dei dati, stabilendo una serie di regole e ricorrendo a un rigido disciplinare tecnico.

In una circolare dell’8 febbraio 2018 il Ministero dell’Interno provò a chiarire alcuni punti, ribadendo la posizione del tutto neutra dell’ufficiale di stato civile, che «non partecipa alla redazione della disposizione né fornisce informazioni o avvisi in merito al contenuto», limitandosi a verificare «i presupposti della consegna», ovvero l’identità e la residenza del dichiarante. Non esiste neppure uno schema unitario preordinato di dichiarazione (per esempio con domande o risposte a crocette). Come indicato in un parere del Consiglio di Stato dello scorso luglio, «in via generale, va mantenuta la possibilità di rendere le Dat senza un particolare vincolo di contenuto: l’interessato deve poter scegliere di limitarle solo a una particolare malattia, di estenderle a tutte le future malattie, di nominare il fiduciario o di non nominarlo...». Il Consiglio di Stato definisce «utile» un atto d’indirizzo che porti a mettere a disposizione «un modulo tipo, il cui utilizzo è naturalmente facoltativo, per facilitare il cittadino a rendere le Dat», ma esclude «la possibilità di prevedere una vera e propria standardizzazione a fini della conservazione elettronica».

Per uniformare le diverse realtà, la Legge di bilancio 2018 ha previsto e finanziato l’istituzione presso il ministero della Salute di una Banca dati nazionale. Il Ministero, nel marzo scorso, ha istituito un gruppo di lavoro (anche con rappresentanti delle Regioni e dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali) per definire i vari aspetti, ma, a oggi, la Banca dati non esiste. Pochi giorni fa il capogruppo M5s Stefano Patuanelli ha proposto una modifica delle modalità di presentazione delle dichiarazioni, inserendola in un emendamento al dl Semplificazioni. La proposta, contestata dai principali fautori della legge sul biotestamento, stabilisce che le Dat non vengano depositate nel Comune di residenza ma in quello di nascita, e prevede un regolamento emanato entro il 30 giugno prossimo in cui sono «sono stabilite le modalità di raccolta delle disposizioni anticipate di trattamento presso la banca dati». L’ufficio dello stato civile che ha ricevuto in consegna la Dat del cittadino residente, magari scritta precedentemente, dovrà trasmetterla all’ufficio dello stato civile dove è stato iscritto o trascritto l’atto di nascita, andando così a ingolfare ulteriormente un sistema che a oggi non ha ancora funzionato.

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