«Per molte malattie dell’uomo su base genetica – dice Giuseppe Remuzzi, dell’Istituto Mario Negri di Milano – non esistono infatti rimedi efficaci, e la possibilità di utilizzare animali geneticamente modificati può essere l’unico strumento valido. Come ad esempio accade con i maiali transgenici sviluppati per cercare di eliminare le reazioni avverse nei trapianti umani». L’Accademia dei lincei fa chiarezza: il 90% degli animali usati in Italia sono topi e ratti, i ricercatori devono sottostare alla Dichiarazione di Basilea, che si sono dati come autoregolamentazione in questo campo. Ha fatto molto scalpore nei giorni scorsi l’appello della giovane Caterina Simonsen, malata di alcune patologie genetiche, studentessa in veterinaria, che ha chiesto di non far morire la sperimentazione: «È grazie a quella sugli animali – ha detto – che posso ancora vivere». Eppure le intimidazioni degli animalisti continuano: la scorsa settimana sui muri di Milano sono apparsi nomi cognomi e numeri di telefono di ricercatori dell’Università Statale con la scritta «Pericoloso vivisettore». Unanime la condanna, a partire dal rettore Giacomo Vago, ma il gesto è indice di un clima che sulla sperimentazione con animali si è fatto molto pesante.
La tensione non riguarda solo l’Italia: «Il dibattito è aperto a livello europeo – spiega Antonio Spagnolo , direttore del Centro di bioetica del Gemelli di Roma –. D’altronde la direttiva recepita anche dal nostro Paese è il frutto di un compromesso tra visioni diverse che si confrontano da anni. La norma varata dalla Ue sottolinea la centralità dell’uomo, che è differente nella sua natura rispetto agli altri esseri viventi ma che ha anche il dovere di non recare sofferenza agli animali». Secondo un sondaggio Ipsos 6 italiani su 10 sono favorevoli ai test sugli animali a patto che siano effettuati per scopi medici. Su questo aspetto anche la politica sembra concorde. In gioco c’è anche la credibilità delle grandi istituzioni della scienza internazionale. Paola Binetti (deputata Udc) lancia l’allarme: «Rendendo la legge più severa e restrittiva si creeranno rischi non indifferenti per il futuro della ricerca nel nostro Paese. Chi viene meno all’etica della responsabilità deve essere punito nei luoghi opportuni ma non va penalizzata tutta la ricerca». Anche perché, le fa eco Ilaria Capua, veterinaria e virologa e oggi parlamentare di Scelta civica, «c’è il rischio concreto che i cervelli italiani vadano all’estero appena finiti gli studi, perché non possono fare nulla in Italia: il decreto burocratizza le già lunghe procedure dei percorsi di ricerca, stabilendo la richiesta di una deroga motivata al divieto di uso degli animali. Tutto questo ci rende meno competitivi. Le cordate europee che si formano faranno così a meno dell’Italia. Ma noi che ruolo vogliamo giocare? Non è facile disputare la partita della ricerca indossando scarponi da sci...».