Desertificazione. Sembra proprio questo l'ultimo, vero, rischio che corre l'agricoltura di molti Paesi avanzati, compresa ovviamente l'Italia. Non si tratta - occorre notarlo subito - di qualche mese di siccità come quelli che stiamo passando. Il problema non è nemmeno la crisi delle reti idriche colabrodo italiane. La vera questione è molto più ampia. E vale, ovviamente, milioni di euro oltre che il futuro ambientale di vaste aree agricole europee. Si tratta di un tema da molto sotto la lente degli studiosi, da poco, invece, all'attenzione dei governi e dell'opinione pubblica.
Detta in poche parole, la causa della desertificazione sembra essere un vasto cambiamento climatico, che ha portato addirittura allo spostamento verso nord della linea di confine tra l'area dei tropici e quella continentale. Il risultato? Il clima più secco sta spostando molte coltivazioni e obbligando a nuove tecniche di lavoro gli agricoltori. Basta qualche esempio per capire. Gli olivi si stanno spostando a nord. Cambiano i ritmi di sviluppo dei cereali e così anche quello delle piante da frutto. Con conseguenze importanti, come la riduzione delle dimensioni dei frutti e delle cariossidi di grano. Il clima diverso, poi, modifica i calendari di fioritura, le necessità idriche, il contenuto nutritivo dei prodotti finali. Tutto ciò, infine, ha una unica conseguenza: lo scenario dei mercati agricoli sta mutando radicalmente. Cambiano le ragioni di scambio, si alterano i rapporti di forza lungo la filiera produttiva, emergono concorrenti nuovi.
è, quindi, uno scenario macroeconomico quello che emerge dal gran secco di queste settimane. La desertificazione - ultima conseguenza di queste modificazioni climatiche - rappresenta cioè una forte leva di cambiamento per l'economia agricola internazionale. A cui gli agricoltori, anche quelli italiani, dovranno rispondere.
è per questo che, a più riprese, le organizzazioni dei produttori - ultima la Coldiretti in occasione della Sesta Conferenza delle Parti della Convenzione per la lotta alla desertificazione apertasi recentemente all'Avana - insistono sulla necessità di adottare le cosiddette «misure strutturali» per porre rimedio alle ricorrenti crisi idriche che colpiscono i campi. Risuonano, così, le ormai consuete parole d'ordine: raccogliere, risparmiare, riciclare, recuperare e distribuire con oculatezza l'acqua. Senza dimenticare la spinta verso tecniche d'uso delle risorse idriche che riescano ad ottenere gli stessi risultati di oggi. Ma la strada è ancora, irrimediabilmente, lunga e costosa. Perché si tratta di cambiare, più rapidamente del clima, le abitudini mentali di consumatori e produttori. Consuetudini che, in particolare nelle aree sviluppate, non hanno mai dovuto fare i conti con la scarsità d'acqua nelle campagne. Ma la sfida è ormai stata lanciata, gli agricoltori e la società devono raccoglierla.
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