Per cognomi, asterischi e relazioni non bastano imposizioni dall’alto
venerdì 28 marzo 2025
Caro Avvenire, Giù-seppe: seppe stare giù. Sottomesso, docile, fiducioso, paziente, calmo, dinamico, capace di stupirsi e di non mollare. Anche lui, Giuseppe, si è ritrovato immerso in un progetto più grande di ogni aspettativa e fantasia personale, oltre il desiderio e l’umanamente realizzabile. E si è fatto santo! Annunziato Cafarelli Caro Cafarelli, grazie del suo audace e simpatetico calambour sul nome di san Giuseppe. Passata la Festività e la celebrazione dei papà, sfrutto la sua lettera per parlare di genitorialità e delle relazioni tra donne e uomini. Ovviamente, nessun paragone azzardato con il padre putativo di Gesù e la sua forte fede. La sottomissione di cui si parla è quella al progetto di Dio su di lui. Ma dice qualcosa anche di uno stile umano di rapporti, che resta esemplare. Con le dovute proporzioni rispetto a quanto affermato finora, in questi giorni si discute della proposta dell’ex ministro Dario Franceschini di attribuire ai nuovi nati il cognome della madre in via esclusiva, anche quale forma di riparazione alla discriminazione subita in passato, quando questa possibilità non era nemmeno contemplata e vigeva nelle famiglie uno squilibrio di diritti. Come già molti hanno sottolineato, l’idea assomiglia a una provocazione costruttiva, di fronte all’inerzia del Parlamento nel legiferare sull’argomento, dopo la sentenza della Consulta che ha aperto al doppio cognome. Quest’opzione è stata finora scelta da poche coppie, com’era prevedibile. Le consuetudini non mutano dall’oggi al domani, e se c’è un’opportunità di decidere in un modo o nell’altro, è giusto che ciascuno si orienti liberamente. Ciò riporta al tema dell’imposizione per legge di comportamenti che riguardano la sfera più personale e alla questione, controversa, della “riparazione” per torti arrecati in precedenza. Non è imponendo qualcosa che si crea una mentalità, sebbene le norme abbiano un ruolo rilevante. E l’autonomia delle persone non può essere messa al servizio di una rettificazione di ingiustizie commesse da altri. Considerazioni che penso siano ben presenti a Franceschini stesso, politico e romanziere di solida preparazione. Il punto riguarda piuttosto – come nel divieto, in qualche modo speculare, di usare schwa o asterischi nei testi scolastici diramato dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara – in quale modo trattare da parte del legislatore quel groviglio incandescente di questioni che riguardano l’identità degli individui e le relazioni tra i sessi (e i generi). La famiglia e la lingua sono fenomeni sociali complessi che evolvono secondo dinamiche di lungo periodo modellando e qualificando l’esistenza di ciascuno. Possono crearsi situazioni di potere asimmetrico (il cognome solo del padre, nomi di professioni declinati unicamente al maschile) che, una volta riconosciute, è giusto cercare di riformare. Dobbiamo però stare attenti al punto di vista che si assume: rimanendo confinati all’interno di una particolare prospettiva, pur in buona fede, si rischia di commettere errori. Da una parte, disponendo un ribaltamento nei nomi, cadiamo nella tentazione di volere progettare la società da parte di coloro che pensano di interpretare nel migliore dei modi ciò che è bene per tutti, una pretesa quasi sempre smentita dai fatti. D’altro canto, nel vietare l’uso di certe locuzioni sembra all’opera la convinzione che, quando nuovi ideali fanno fatica ad affermarsi perché cozzano contro il pensiero consolidato di alcune élites (i puristi di una lingua ideale, in questo caso), allora è meglio tornare indietro e lasciare le cose come stanno. Ovviamente, le cautele non devono condannare all’inazione. Ben venga quindi il dibattito su provvedimenti di diversa natura, se condotto con cognizione di causa e non subito incanalato nei pregiudizi di schieramento o negli attacchi personali. Alla fine, che protagonisti di questi casi siano due maschi può essere significativo o invece assai meno importante. Dipende ancora una volta da come ci si pone. Per qualcuno, l’obiettivo ideale è la “trasparenza” dei sessi, una situazione in cui, nella maggior parte delle interazioni, essere uomini o donne non faccia alcuna differenza. Ma le specificità che tutti rivendicano in senso identitario – in forma classica diadica o in forma fluida e multipla – perderebbero così di incidenza reale. Personalmente, non vedo soluzioni facili a portata di mano. Giuseppe, caro Cafarelli, ci può tuttavia illuminare almeno un po’, con il suo atteggiamento mite e tollerante, ben lontano da qualunque deriva patriarcale. Chiedendo intanto venia per esserci cantati e suonati l’intera storia fra soli uomini. © riproduzione riservata
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