Ci sono innocue parole che di colpo si trasformano in parolacce, anche se forse del tutto innocenti non furono mai (e i fatti di questi giorni ce lo dimostrano ampiamente). E c'è un politicamente corretto lessicale che, mosso da nobili intenti, finisce con l'esibirsi in testacoda tragicomici. Meraviglioso e brutto affare sono le parole. Negro, per esempio, dal latino niger. Per secoli viene usato per definire le popolazioni sub-sahariane, quelle dell'Africa nera. Appunto: negro e nero sembravano intercambiabili, ma non lo erano. Se volevo usare un vago tono di disprezzo, o di superiorità bianca, ricorrevo senza dubbio a negro. Ad esempio: sporco n. o lurido n. Il povero Nicolò Carosio venne accusato di aver apostrofato il guardalinee etiope di Italia-Israele, ai Mondiali messicani del 1970, con un «ma cosa vuole quel negraccio?». Frase mai pronunciata, ma che segnò la fine d'una lunga, onesta e talvolta fantasiosa carriera.
Le cose cambiano agli inizi degli anni Settanta. Dagli Usa giungono in Italia gli echi delle lotte per i diritti civili. Seguono traduzioni e calchi. Black power è facile, diventa potere nero: non negro. Idem per le Black panthers. Nigger è un insulto, e l'equivalente italiano negro va in crisi. Ma ancora si usa, nel linguaggio di tutti i giorni, senza alcuna sfumatura negativa. Qualcuno dirà: perché c'è il bisogno di sottolineare il colore solo in un caso, ad esempio: quel cameriere nero sì, quel cameriere bianco no? Senza voler sorvolare su un possibile tono denigratorio, se la grande maggioranza delle popolazione è bianca, è spontaneo sottolineare ciò che si discosta dalla consuetudine.
Negro è usato più o meno tranquillamente fino a tutti gli anni Ottanta. Poi accade qualcos'altro. Forse è l'influsso della cultura e della lingua inglesi, con quel nigger-negro usato come insulto; forse l'immigrazione, con la sempre maggiore presenza di africani, induce a un uso più cauto e consapevole delle parole. Fatto sta che oggi negro è una parolaccia bella e buona, e chi la usa lo sa perfettamente.
Però la lingua è cosa complessa e scherzosa. "Negro" cambia significato – verrebbe da dire: cambia colore – gli viene preferito "nero", ieri solo aggettivo, oggi anche sostantivo. "Di colore", calco di coloured, si usa poco e lo sconsigliamo, innanzitutto perché incongruente. Il nero sarà anche un colore, ma ben più colorati siamo noi bianchi, che svariamo dal pallido nordico al bruno meridionale, arrossiamo dalla vergogna e impallidiamo per lo spavento, ci abbronziamo passando dal rosso al brunito per poi tornare rapidamente rosa... I coloured in realtà siamo noi caucasici.
Cosa complessa e scherzosa, già. Fatto realmente accaduto: in piscina, un tale sente un ragazzino gridare: "Negro, negro!". Si precipita a redarguirlo ma lui gli spiega: "Ma io stavo chiamando il mio amico Giorgio Negro". Che cosa direbbe oggi l'ex calciatore vicentino Luca Negro, colonna della Lazio? Il politicamente corretto è buona cosa, se usato con intelligenza e non applicato a macchinetta. Accade infatti che Facebook abbia bloccato un'inserzione pubblicitaria intimando all'inserzionista di rimuovere la grave offesa razzista. L'inserzionista era la concessionaria auto Negro, a Treviso dal 1952. Curiosa anche l'analoga censura operata ai danni di Michele Dalla Negra, candidato alle elezioni comunali di Vicenza dell'anno scorso. Che si fa, tutti in fila all'anagrafe per farsi bonificare il cognome?
No. Ma bisognerebbe sempre parlare e ascoltare con intelligenza, tenendo conto del contesto. Troppo faticoso per i fondamentalisti, che hanno bisogno di regole da applicare senza pensare. Temono, altrimenti, che il cervello gli vada in fumo, un fumo nerissimo.
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