D’infinite traiettorie e curve è fatta la storia dello sport olimpico. Quanti ricordano ancora la finale dei duecento che regalò a Pietro Mennea il sospirato oro olimpico a Mosca, nel 1980? In una corsia non favorevole, l’ottava, uscì dalla curva in ritardo rispetto ai rivali, ma con tanta benzina nei quadricipiti da permettersi una rimonta prodigiosa d’antologia. In 20 secondi e 19 centesimi, il coronamento di una vita di sacrifici. Furono gli stessi Giochi che nel salto in alto regalarono l’oro pure a Sara Simeoni, suprema signora dell’atletica azzurra. La prima donna di sempre a volare, con quell’inarcamento dorsale che metteva i brividi, sopra i fatidici 2 metri.
Così, il percorso sinuoso di questi giorni della fiamma olimpica, nel Sud-Est francese, fra Nizza (18 giugno) e Besançon (25), passando per Chamonix (23), fa pensare proprio a simili imprese. Costruite sulle traiettorie e curve disegnate dagli atleti, rasentando una sorta di perfezione, di colpo resa quasi visibile. Come se nel correre, saltare o lanciare, vibrasse sempre pure una ricerca superiore.
Per questo, curioso è che le staffette di questi giorni si avvicinino pure all’anello per eccellenza concepito per mettere il naso fra le pieghe più profonde dell’universo: il più grande acceleratore di particelle al mondo, l’Lhc (Large hadron collider) del Cern, fra la Francia e la Svizzera, con i suoi 27 km di circonferenza.
Ma sempre dalle parti del Lago Lemano, c’è un altro ‘acceleratore’, molto meno conosciuto e molto più accessibile, che permette a tutti d’assaporare la storia delle traiettorie quasi perfette esibite fra un’edizione e l’altra dei Giochi.
Ci riferiamo al cuore pulsante del Museo Olimpico, a Losanna, città che si proclama fieramente capitale olimpica mondiale. D’accordo, ogni definizione pomposa del genere lascia magari il tempo che trova. Ma non le immagini che sfilano nello spazio semichiuso ovoidale, proprio al centro del percorso espositivo del museo del Cio. Mani, muscoli e volti d’atleti d’ogni sport che si tendono nel momento dello sforzo, alla ricerca di quelle traiettorie capaci un giorno di lasciare trasognati gli spettatori. Sciatori, tuffatori, ginnasti, nuotatori, sprinter, saltatori, maratoneti, tennisti e quanti altri.
Di che chiedersi, uscendo tramortiti e commossi, che senso avrebbe immaginare un simile spazio, o uno stadio d’atletica, o un velodromo, confinato fra righe diritte e angoli retti. In effetti, come ricordano in primis a ogni generazione le riproduzioni del celebre Uomo vitruviano di Leonardo, proprio di traiettorie curve sono fatti quei movimenti fondamentali da cui ha spiccato il volo la grande avventura dello sport. Linee curve, del resto, come l’arco terrestre coperto dal primo mitico maratoneta della storia: quel Filippide partito da Maratona alla volta di Atene, lungo una quarantina di chilometri, per annunciarvi la celebre vittoria ateniese sui Persiani.
Quali saranno le prossime magiche traiettorie disegnate a Parigi? Lo sapremo presto. Ma di certo, tutto ciò fa già pensare pure a un famoso proverbio giustamente ripreso, ciclicamente, fra una generazione e l’altra: Dio scrive dritto sulle (nostre) righe storte.