
Arianna Manfredini, classe 2011, ha tredici anni e quattro mesi, fa la terza media e gioca a pallavolo. Arianna, sabato scorso, ha esordito in serie A, in quel di Casalmaggiore, in un match valido per la pool salvezza del campionato di serie A2. Un record, senza alcun dubbio, anche se simbolico. Arianna è entrata nel terzo set, sul 24-16 per le padrone di casa, probabilmente come premio per il suo talento, ma soprattutto per la sua dedizione, per la sua volontà, per il suo impegno, e ha esordito davanti a una leggenda come Taismary Aguero, spettatrice al palasport di Casalmaggiore, campionessa che detiene ancora il record di longevità agonistica, avendo giocato a pallavolo fino all’età di 45 anni e 10 mesi.
Al di là dell’aspetto simbolico e dei migliori auguri per una carriera lunghissima e felicissima, questo esordio-record solleva un tema meno banale di quanto sembri: quello della responsabilità dei Maestri delle nostre e dei nostri giovanissimi atleti. Già, Maestri, con la maiuscola. Ci sono alcune discipline, come la scherma, che chiamano meravigliosamente così i loro allenatori: Maestri. Sono coloro che le medaglie non le ricevono, che qualche volta non sono neanche lì, di fianco ai loro atleti, perché il lavoro lo hanno fatto prima e lo hanno, paradossalmente, esaurito facendoli diventare i miglior allenatori di sé stessi. Gente abituata a fare con ciò che si ha, non a recriminare per quello che non si ha, capaci di tirare fuori il meglio dagli atleti. Maestri come migliaia di uomini e donne nel nostro Paese che compiono il miracolo di formare i nostri ragazzi e le nostre ragazze, indipendentemente dallo stipendio e dalle condizioni in cui agiscono, trasmettendo “nozioni” tecniche o tattiche. Prima di tutto, però, ci ricordano la differenza gigantesca che passa tra due verbi che usiamo quasi come sinonimi: istruire o educare. Se pensiamo all’origine etimologica scopriamo la differenza: istruire (dal latino in-struere) è il gesto di colui che riempie qualcosa, per esempio un contenitore; educare (ex-ducere) significa l’esatto opposto: “tirar fuori”, ovvero riconoscere un talento e creare, intorno a esso, le condizioni affinché esploda. Chiunque di noi (non serve essere atleti), se chiude gli occhi per un istante, saprà riconoscere volti di persone che, nelle nostre carriere scolastiche, professionali, o nella nostra vita personale, ci hanno insegnato delle tecniche e sono stati ottimi istruttori. Tuttavia, se ripetiamo l’operazione pensando a coloro che ci hanno un po’ cambiato la vita, probabilmente i volti che resteranno a fuoco saranno proprio quelli di coloro che sono stati capaci di esercitare quel secondo gesto, “educare”. Abbiamo bisogno di meno istruttori e di più educatori e, senza alcuna retorica, dobbiamo far sì che a questi Maestri venga riconosciuta l’importanza e la dignità che meritano. In modo, anche, che non ci siano dubbi sulle loro enormi responsabilità, perché a fronte della notizia di una giovanissima esordiente in serie A (sottolineando la cosa più bella che Arianna ha detto, quella di voler studiare chirurgia) vengano allontanate immediatamente le nubi nerissime che si addensano su un altro mondo sportivo dove le protagoniste sono altre atlete giovanissime, quello della ginnastica.
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