Il supercampione generoso ricordato per una sconfitta
mercoledì 26 marzo 2025
Se ne è andato George Foreman, uno dei più grandi pugili della storia, ricordato, tuttavia, principalmente per una sconfitta. Dopo quaranta vittorie consecutive e una medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Città del Messico nel 1968, Foreman perse il primo incontro della sua vita nello storico combattimento a Kinshasa contro Muhammad Ali, passato alla storia come The rumble in the jungle (“La rissa nella giungla”). Un giovane promoter che avrebbe, diciamo così, fatto strada e che si chiamava Don King, aveva fatto firmare ad Ali e Foreman due contratti separati con un premio, in caso di vittoria, di cinque milioni di dollari, che però... non aveva. Venne in suo soccorso il Presidente dello Zaire, Mobutu, campione anche lui, ma di cleptocrazia, quella forma di governo che si fonda sulla corruzione e sull’utilizzo sistematico di denaro pubblico per interesse privato. Insomma, per ragioni sulle quali è meglio sorvolare andò in scena, il 30 ottobre del 1974, il primo evento planetario di ciò che oggi chiameremmo sportwashing. Sul ring dello stadio Tata Raphaël, in piena notte, a favore di oltre un miliardo di telespettatori (in quel momento circa il 25% della popolazione mondiale), andò in scena uno dei momenti più iconici della storia dello sport. Il clima era molto chiaro: lo Zaire aveva scelto Muhammad Ali come il “nero giusto”. Le sue posizioni a favore degli afroamericani, la sua lotta per i diritti sociali e civili lo avevano trasformato in una figura più politica che sportiva. E per capire perché George Foreman, di sette anni più giovane e super favorito, fosse accusato di stare dalla parte sbagliata della storia bisogna tornare a quell’oro olimpico a Città del Messico ’68. Erano passati, otto giorni dalla vittoria di Tommie Smith e dal bronzo di John Carlos nei 200 metri, con la clamorosa protesta con i pugni guantati di nero sul podio, quando Foreman dopo la sua vittoria, sventolò a lungo sul ring una bandierina americana. Per tutti gli afroamericani diventò immediatamente un traditore della causa, con disprezzo lo chiamavano Zio Tom. “Ali bomaye!” urlavano tutti a Kinshasa, “Ali uccidilo!”. Ali non lo uccise, ma gli inflisse la prima sconfitta della carriera, dopo aver assorbito i suoi colpi potenti facendolo sfogare nei primi round, con una tecnica che sembrava suicida. Foreman, invece, finì ko, forse il più famoso della storia della boxe, e tanti lo ricordano ingenerosamente solo per questo, a fronte – oltre del già citato oro olimpico – di quattro titoli mondiali. Quattro sono stati anche i suoi matrimoni e dodici i figli (di cui cinque si chiamano George, come lui). Un campione poco amato, che a un certo punto della carriera, dopo una delle pochissime sconfitte, quella con Jimmy Young, disse di aver incontrato anche Dio che gli chiese di cambiare vita e dedicarsi alle opere di bene. Quando George Foreman lasciò i guantoni, lo ascoltò: fu capace di definire Alì “il regalo più grande che mi abbia fatto la boxe” e lo dimostrò, in maniera struggente, accompagnandolo e tenendolo sottobraccio a causa dei tremori del Parkinson, sul palco del premio Oscar per ritirare il premio per When we were kings, il docufilm che racconta proprio del trionfo di Ali e della sua sconfitta. A noi piace ricordarlo così. © riproduzione riservata
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