Luigi Novarese. Giovanni Paolo II lo definì “apostolo degli ammalati”, e l’11 maggio 2013 a San Paolo fuori le Mura è stato proclamato beato. Piemontese di nascita (29/7/1914) e ultimo di 9 figli. Il padre muore pochi mesi dopo e la famiglia è guidata dalla madre, Teresa Sassone. Nel 1923 Luigi si ammala di tubercolosi ossea, malattia allora assolutamente mortale e viene ricoverato a Santa Corona di Pietra Ligure, in sanatorio, e senza speranza di guarigione. Passano invece ben 8 anni e lui guarisce pienamente: aveva pensato di diventare medico, ma cambia idea e vuole essere prete. Entra in Seminario a Casale Monferrato e conclude gli studi al Collegio Capranica di Roma: il 17 dicembre 1938 è ordinato prete nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Qualcuno si accorge delle sue qualità e il 1 maggio 1942, su invito del Sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Montini entra in servizio in Vaticano: per quasi 30 anni sarà la sua vita. Da subito però fonda la “Lega Sacerdotale Mariana” che si dedica ai preti malati feriti e poveri: è tempo di guerra. Un nuovo incontro cambia la sua vita: conosce la signorina Elvira Myriam Psorulla, palestinese di origine, venuta a Roma per curare uno zio, e con il suo aiuto fonda i “Silenziosi Operai della Croce” la cui attività sarà di manifestare il senso cristiano del dolore vissuto nella sequela di Cristo. Non teorie! Per questo fonda la casa Cuore Immacolato di Maria presso Verbania, fin dal 1952 tutta dedicata a corsi di esercizi spirituali per malati e disabili. Provvede anche a raccogliere e organizzare, accanto agli ammalati, anche quelli che chiama i “Fratelli e sorelle degli ammalati”. Facile oggi andare col pensiero all’espressione “fratelli tutti”… Oggi! Lavoro dunque, e contagioso: alla fine degli anni 70 il Centro Volontari della Sofferenza raggiunge 70mila iscritti e 5 Papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II lo ricordano alla devozione dei fedeli. Così lui va avanti: laboratori professionali e accoglienza dei disabili in varie parti del Nord Italia dove deve anche vincere la resistenza di albergatori e gestori del turismo che vedono gli ammalati come disturbo del benessere dei cittadini. Da Trento ad Avellino da Vercelli a Roma anche laboratori per giovani in cerca di impiego: corsi di rilegatoria, riparazione utensili, ortofloricoltura e altro. Nel 1970 la Conferenza Episcopale Italiana gli affida la cura della pastorale sanitaria, incarico che mantiene fino al 1977. Da allora tutto dedicato all’Opera: ricoveri e preghiere anche all’estero, tra contemplazione e azione: «fede che opera attraverso la carità». Nella vita un turbinio fino alla fine: il 20 luglio 1984 muore a 70 anni nella casa dedicata alla Madonna splendore del Carmelo a Rocca Priora, e la sua tomba è in via Giulia, nella chiesa di Santa Maria del suffragio a Roma. I suoi “figli”, oggi, detti “Silenziosi Operai della Croce” animano in Italia 8 comunità, ma sono operativi anche in Polonia, Portogallo, Colombia e Camerun. I Volontari della Sofferenza sono in Italia in circa 80 diocesi, ove come anche all’estero il centro dell’attenzione sono gli ammalati cui è dedicata assistenza medica e spirituale. Grazie a lui e ai suoi, “silenziosi”, ma sempre attivi. C’è altro? Sì, due cose e per me vale la pena di ricordarle. La prima è un dato di fatto: una malattia giovanile che pare mortale, per me guarita dopo otto lunghi mesi in coma che pare irreversibile, e non lo è stato. La seconda è una filastrocca che da bambino sentivo sempre sulla bocca di mia mamma: «Il mio penare è una chiavina d’oro, piccola, ma che m’apre un gran tesoro: è quello della Croce di Gesù, quando la giro non lo sento più».
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