Generosi, fragili e sbruffoni: giovani. Che l’universo giovanile sia composto da infiniti mondi, raramente in comunicazione tra loro, si sa da sempre. E la cronaca non perde occasione per ricordarcelo. I social, che dovevano aiutarci a socializzare, con i giovani possono avere l’esito opposto. «I social della solitudine» è il titolo del commento di Claudia De Lillo (“Repubblica”, 12/1), che per fortuna è un adulto che non si è dimenticato di come era da giovane: «I nostri figli sono fragili, inadeguati e un po’ guasti, come lo eravamo noi e come lo erano i nostri genitori». In più oggi ci sono il web e i social: «Qualche giorno fa a Seattle le scuole pubbliche hanno intentato una causa contro TikTok, Instagram, Facebook, YouTube e Snapchat, accusandoli di essere responsabili dell’aumento di ansia, depressione, problemi alimentari e cyberbullismo tra i più giovani. Chiedono un risarcimento per i danni subiti». De Lillo cita Concita De Gregorio che poche pagine prima racconta la vicenda di Seattle e più in generale la solitudine di una generazione. Titolo: «“Cerco amici per uscire”. La solitudine dell’influencer e i ragazzi malati di social». Ma i genitori italiani che cosa possono fare? «Staniamo i nostri figli dai loro antri – è l’invito di De Lillo – buttiamoli fuori di casa tutti assieme. Riprendiamoci i nostri ruoli di genitori, cerberi, legislatori. Assumiamoci la responsabilità di spegnere i loro cellulari, a costo di diventare loro nemici (...). È uno sporco lavoro il nostro, ma qualcuno dovrà pur farlo». Basta non imbattersi in genitori come quelli della classe prima dell’Itis Marchesini di Rovigo. L’11 ottobre scorso gli studenti impallinarono (letteralmente) la prof di biologia, riprendendo la scena e diffondendola su TikTok e Instagram. Enrico Ferro (“Repubblica”, 12/1) informa che la prof ha deciso di denunciare tutti gli alunni: «I genitori dovrebbero essere nostri alleati, invece sono totalmente schierati con i figli». La vicenda è ripresa da Massimo Gramellini sul “Corriere” (13/1) e da Concita De Gregorio sulla “Repubblica” (13/1), che commenta: «Non esistono ragazzini criminali: esistono ambienti di adulti criminali in cui i bambini crescono e ai quali si adeguano, esortati a farlo, o non disapprovati né puniti». Genitori “impallinati”, e così sia.
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