Cos'hanno in comune i dipendenti del quartier generale di Google in California con l'élite di Boston e l'intellighenzia di Pechino? Pochi lo sanno, ma ciò che unisce mondi così lontani è un'eccellenza italiana che si proietta nel futuro e di cui si parla molto più all'estero che in Italia. È il Reggio Approach, il modello educativo per la scuola dell'infanzia nato a Reggio Emilia subito dopo la Seconda guerra mondiale dalle intuizioni e dalle buone pratiche di Loris Malaguzzi. Basti pensare che soltanto nel 2017 sono giunte nella città emiliana ben 5.000 persone da 50 Paesi diversi - tra educatori, professori universitari e ricercatori del settore - per studiare questo modello educativo. E cercare di replicarlo in ogni angolo del pianeta, dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Scandinavia all'Australia.
Ma cosa lo ha reso così celebre? L'idea di fondo che il bimbo non sia un "contenitore da riempire", come nei modelli formativi classici, ma al contrario un produttore autonomo di conoscenza. Capace di generare autonomamente un processo di apprendimento, all'interno di una rete di relazioni sociali con gli educatori e la famiglia. È un modello, questo, che punta fin da subito sui talenti dei piccoli e che trae la sua forza anche - ad esempio - da una forte spinta alla partecipazione delle famiglie e dal lavoro collegiale intorno al bambino svolto da tutto il personale della scuola.
Il Reggio Approach è diventato celebre, paradossalmente, prima all'estero che in Italia. Il punto di svolta si è verificato nel 1991, quando sulla rivista internazionale "Newsweek" una giuria di esperti ha identificato nella scuola comunale dell'infanzia Diana di Reggio Emilia, in rappresentanza della rete dei servizi comunali, l'istituzione più all'avanguardia nel mondo rispetto all'educazione dell'infanzia. Da allora alcune tra le migliori scuole per l'infanzia degli Stati Uniti – come la Advent School e il Children's Garden di Boston, o la Brick Church School di New York – hanno adottato il modello reggiano. Con una differenza fondamentale, che (ancora una volta) va ascritta tra i meriti del modello italiano: queste scuole sono considerate luoghi privilegiati, ai quali pochi possono avere accesso. Non è così in Emilia, come nel resto del nostro Paese. Lo spirito alla base del modello è quello della scuola per tutti. Per coltivare il talento e insegnare la vita, senza distinzione di censo.
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