
La fede, come l’amore, ha bisogno di essere espresso, di prendere una forma visibile attraverso segni e gesti concreti. Se l’annuncio del Risorto è l’«anima» del credere, riti e parole rappresentano il suo «corpo», la parte visibile della fede. Le due dimensioni vivono una nell’altra e una si alimenta dell’altra, come la Chiesa sa bene fin dall’inizio del suo cammino nella storia. Perché dare forma al rito significa in qualche modo dare un volto alla comunità dei credenti davanti al mondo. E san Sisto I, sesto successore di Pietro per circa un decennio tra il 117 e il 128, è ricordato proprio perché a lui è attribuita l’introduzione di alcune importanti norme nella liturgia giunte fino a noi attraverso i secoli. A lui, ad esempio, risalirebbe l’aggiunta nel rito della Messa del «Sanctus», l’inno del «tre volte santo» subito dopo il Prefazio. Originario di Roma, Sisto visse al tempo degli imperatori Traiano e Adriano, in un periodo di relativa tolleranza per i cristiani e venne eletto da tutto il clero. Sempre a lui la tradizione fa risalire la decisione di permettere solo ai ministri di culto di toccare i vasi sacri (calice e patena, il piattino di metallo nobile usato per la deposizione dell’Ostia consacrata) durante la celebrazione dell’Eucaristia. Alla morte venne sepolto in Vaticano vicino a san Pietro.
Altri santi. San Riccardo di Chichester, vescovo (1197-1253); san Luigi Scrosoppi, sacerdote (1804-1884).
Letture. Romano. Es 32,7-14; Sal 105; Gv 5,31-47.
Ambrosiano. Gen 29,31-30,2.22-23; Sal 118 (119),113-120; Pr 25,1.21-22; Mt 7,21-29.
Bizantino. Gen 18,20-33; Pr 16,17-17,17.
t.me/santoavvenire
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