È l’amore ciò che resterà alla fine, quando non saremo altro che luce
giovedì 9 novembre 2023
Cosa resta «alla sera della vita»? L’amore, la luce, il bene coltivato nel cuore, nei gesti e nelle parole, le carezze a cui affidiamo il «tocco di Dio» verso chi si sente perso e cerca accoglienza. Perché alla fine il nostro cammino è un itinerario che ci rende luce, se siamo capaci di seguirlo. Anche se attraverso la sofferenza e la malattia, quella di santa Elisabetta della Trinità, al secolo Elisabetta Catez, fu una profonda esperienza di luce, la stessa a cui è chiamato ogni battezzato. Era nata nel campo militare di Avor presso Bourges in Francia il 18 luglio 1880, trasferendosi poi a Digione con la famiglia; rimase orfana di padre a sette anni. Il 19 aprile 1890 ricevette la Prima Comunione, l’anno dopo la Cresima, coltivando il sogno della consacrazione fin da giovane: nel 1894 pronunciò un voto privato di castità. Solo alla maggiore età, però, la madre, che da vedova sperava di vedere la figlia sposata, le permise di entrare nel Carmelo: era il 2 agosto 1901. L’11 gennaio 1903 fece la professione religiosa, appena poco prima di scoprire di avere il morbo di Addison. Nonostante le sofferenze provocate dalla malattia, Elisabetta visse questo suo Calvario nella totale fiducia in Dio, nella certezza di essere immersa nella vita della Trinità. «O mio Dio, Trinità che adoro» era la sua invocazione. Morì a 26 anni il 9 novembre 1906: «Vado alla luce, all’amore, alla vita», furono le sue ultime parole. È santa dal 16 ottobre 2016. Altri santi. Sant’Agrippino di Napoli, vescovo (III sec.); sante Eustolia e Sopatra, monache (VI sec.). Letture. Dedicazione della Basilica Lateranense. Romano. Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3,9-11.16-17; Gv 2, 13-22. Ambrosiano. 1Re 8,22-23.27-30; Sal 94 (95); 1Cor 3,9-17; Gv 4,19-24. Bizantino. 1Ts 4,18-5,10a; Lc 13,1-9. t.me/santoavvenire
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