L'arte di insegnare consiste tutta e soltanto nell'arte di destare la naturale curiosità delle giovani menti, con l'intento di soddisfarla in seguito.
Lo spunto mi viene da un'esperienza che è innegabile: se si capita sulla metropolitana qui a Milano o a Roma durante l'orario di afflusso degli studenti, è palpabile l'insoddisfazione che li pervade. Forse è sempre stato così e la locuzione "scuola dell'obbligo" è la codificazione linguistica non tanto di una norma legislativa ma, inconsapevolmente, di uno stato psicologico e umano. La frase che oggi propongo mi è suggerita proprio da un insegnante di Sondrio. È una considerazione che lo scrittore Anatole France ha lasciato in uno dei suoi romanzi più celebrati, Il delitto dell'accademico Sylvestre Bonnard (1881), una malinconica satira del mondo accademico.
In questa osservazione c'è indubbiamente una verità: spesso gli insegnanti trasmettono dati, notizie, tesi ma non sanno creare il gusto della ricerca. È quella che i latini chiamavano la curiositas, che è ben più della mera curiosità: è, infatti, il desiderio di avviarsi nel campo sterminato della conoscenza per conquistare nuovi territori. Si tratta di una dote che è un po' innata in ciascuno, ma che dev'essere stimolata e alimentata continuamente, altrimenti si atrofizza. Una pura e semplice massa di informazioni ostruisce questo desiderio e lo spegne. Questa particolare "curiosità", che lo storico inglese G.M.Trevelyan definiva «linfa e sangue della vera civiltà», vale per tutte le esperienze di vita, compresa quella religiosa, ed è capace di conservare la freschezza della mente e del cuore.
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