«Cose dell'altro mondo» diceva mia nonna tutte le volte che ci si trovava a commentare fatti che avevano dell'incredibile. Ed io, bambina, puntualmente iniziavo a fantasticare su quel pianeta misterioso e, al tempo stesso inquietante, dove accadevano le cose più strane e indecifrabili per noi piccoli abitanti della terra. Hai mai pensato, Sergio, all'esistenza di mondi nascosti da qualche parte in giro per le galassie o silenziosamente fluttuanti nello spazio?
«Ti confesso, Ale, che prima di certi incontri ci pensavo distrattamente.
Come si fa con i pensieri sghembi. Anch'io come te, immaginavo scenari alla Kubrick. Fino a quando ebbi la fortuna di trovarmi faccia a faccia con personaggi che di quelle magiche derive avevano fatto l'oggetto di studi e ricerche. Mi viene in mente Wernher von Braun, l'ingegnere capostipite del programma spaziale americano. Andai a Huntsville, in Alabama, per intervistarlo nella base della Nasa. Era l'estate del 1969. E lui lavorava all'agognato viaggio sulla luna. Iniziammo la nostra conversazione e mi fu subito chiaro che non era certo un visionario. "Vedrà - mi disse - da qualche angolo impensabile dell'universo dovremo attenderci l'imponderabile". Iniziammo a parlare degli Ufo, l'ultimo era apparso proprio a qualche miglio dalla rampa su cui, in attesa del via, già sfiatava il vettore del modulo lunare. "Non mi prenda per un fanatico - tenne a chiarire - ci credeva anche Einstein". E quelle parole mi tornarono in mente quando, qualche mese dopo, intervistai Neil Armstrong. L'astronauta mi confidò che durante la fase finale dell'avvicinamento al satellite, aveva visto poco lontano un gruppo di oggetti misteriosi. Tanto che alle 4.05 del 21 luglio 1969, a Houston - che gli chiedeva ragione delle interferenze sulle trasmissioni radio - rispose: "Vedo degli oggetti enormi, sembrano astronavi e quel che è peggio ci guardano con insistenza"».
Dunque non erano suggestioni come in molti ipotizzarono…
«Affatto. Mi sono sempre chiesto quale fosse la ragione per raccontare qualcosa di destabilizzante al punto tale da sembrare falsa. E poi perché in un momento così speciale per la storia. Quando chiesi a von Braun: "Lei crede a una vita intelligente su altri pianeti"? Lui senza esitazione mi disse: "Nella creazione tutto risponde agli stessi princìpi. Il diverso nell'infinitamente grande non esclude l'uguale o il simile. Per quale considerazione scientifica e religiosa o per quale orgoglio umano non dovrei credere che in un universo senza confini, magari in una galassia distante da noi miliardi di anni luce, si siano prodotte le stesse condizioni grazie alle quali noi siamo qui sulla Terra? Come credere che sia toccato a noi soli il privilegio di esistere dentro un'infinita moltitudine di pianeti". Vedi, Ale, la Luna non ci ha cambiato. L'uomo è rimasto esattamente come prima: con le sue paure ataviche. Ma il nostro ingresso nell'universo non deve farci dimenticare che davvero non è più tempo di comete: E proprio per questo ci piace immaginarle, se sono vere, in viaggio per noi. Esattamente come accadde una volta, duemila anni fa. E quella volta fu per sempre».
Lascito prezioso dell'ultimo tratto del percorso terreno di Sergio Zavoli sono i suoi "dialoghi familiari" con la moglie Alessandra, giornalista a sua volta, che in questa rubrica offre ai lettori di "Avvenire" sintesi a tema di quelle riflessioni.
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