La generale freddezza con cui in Italia è stato accolto il piano RearmEurope non è legata solo alle nobili e condivisibili ragioni del pacifismo. Tra i perplessi c’è chi ne fa anche solo una questione di tasche. Che in Italia sono storicamente vuote: dove troveremo mai, si domandano in molti, i soldi necessari a partecipare pro quota a un piano da 800 miliardi di spese? E quandanche li avessimo trovati, come potremo mai ripagare i debiti contratti per riempirci di cannoni, aerei e sommergibili? Non c’è risposta. È lo stesso rebus, senza soluzione, che si presenta a ogni legge di bilancio, in cui le
ambizioni di nuove voci di spesa (o di tagli al prelievo fiscale) si infrangono al momento in cui c’è da trovare le coperture. Abitiamo in un Paese che per decenni ha vissuto, almeno sul lato della spesa pubblica, ben oltre le sue possibilità, dunque ora la coperta è corta e si strappa facilmente.
Ma anche nelle pieghe dei suoi bilanci è un Paese che non finisce mai di sorprenderci. Capita spesso. Ad esempio spulciando la nota depositata in Senato da Vincenzo Carbone, direttore dell’Agenzia delle entrate, quando in settimana è stato audito in Commissione Finanze. Un documento di 32 pagine, pubblico, da cui emerge una fotografia aggiornata al 31 gennaio scorso del “magazzino fiscale” in carico all’Agenzia stessa. Alla faccia del magazzino: qui, a fine gennaio, risultavano in giacenza 1.279,8 miliardi di tasse dovute ma non pagate e non riscosse. Un tesoro tanto grande quanto virtuale, visto che mediamente negli ultimi otto anni la riscossione media è stata pari a 12,4 miliardi (in notevole crescita rispetto ai 7,5 degli anni precedenti).
Il magazzino della riscossione vale più del 50% del Prodotto interno lordo di un anno, visto che il 2024 si è attestato intorno ai 2.200 miliardi, e da solo basterebbe a coprire l’intero piano RearmEurope per una volta e mezza. Ma certo se queste risorse fossero reali, troveremmo modi migliori per spenderle: potremmo quasi dimezzare l’intero debito pubblico italiano (3mila miliardi al 30 novembre 2024) oppure raddoppiare la spesa sanitaria (135 miliardi) per dieci anni consecutivi o quella per l’istruzione (80 miliardi) per quindici anni di fila.
Calcoli teorici, che però possono - e forse devono - farci arrabbiare sul serio. Perché parliamo di risorse che, a rigor di logica, spetterebbero allo Stato e quindi a noi tutti. Sempre tra di noi in pochi possono però dichiararsi del tutto “innocenti”: gli evasori, consapevoli o no, sono in tutto 22,3 milioni. Ma di questi, c’è uno zoccolo di evasori fissi: sono 1,32 milioni di persone, i contribuenti a cui fa capo l’87% (1.110 miliardi) dell’ammontare non riscosso. In pratica: siamo quasi tutti evasori, ma mentre il 43% di chi deve qualcosa al fisco ha un debito inferiore ai mille euro, c’è un gruppo di inguaribili - i cosiddetti “recidivi” - che ha trovato mille modi per non pagare quello che deve. Tra i quali c’è la continua attesa di nuovi sconti, condoni o rottamazioni. Non a caso dal direttore è arrivato un messaggio chiaro: meglio evitare. «Le misure di definizione agevolata dei debiti residui - ha detto Carbone in audizione - sebbene abbiano contribuito e contribuiranno nei prossimi anni, sulla base delle scadenze dei piani di pagamento inviati ai contribuenti, a sostenere i risultati di riscossione, non hanno, però, inciso significativamente sulla riduzione del volume complessivo dei crediti ancora da riscuotere, costituito principalmente da quote di ammontare rilevante, le cui aspettative di riscossione, se non remote, sono comunque marginali rispetto all’entità del loro importo residuo».
© riproduzione riservata

© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: