Quanti doni con maggio: le ciliegie, le rose e persino i narcisi, che rappresentano il simbolo della bellezza. Ma curiosamente danno anche il nome a un atteggiamento, o meglio a una patologia della psiche che è il “narcisismo”. Malattia difficile da curare – dicono gli psicologi – che porta le persone a distorcere la realtà, annientando la loro stessa personalità nell'esaltazione delle proprie doti e capacità. E a questo punto viene il dubbio che ci sia un filo sottile fra l'intelligenza umana e la precipitazione nel narcisismo che, come contraltare, dovrebbe avere l'umiltà che diventa servizio. Detto questo, si può sospettare di narcisismo alcuni potenti contemporanei, ma anche imprenditori e persino ristoratori. Anzi, direi che la parabola del narcisismo talvolta affiora frequentando i ristoranti dove la demarcazione sta nel trovarsi in un luogo dedicato al cliente (e lo si capisce da tanti dettagli) oppure nello sfoggio del cuoco, davanti al quale tocca assistere e pagare. Lunedì sera a Stresa ero in un locale gestito da una famiglia: marito in cucina, fidanzata del figlio al suo fianco e in sala il figlio e la mamma. Il ristorante si chiama “La botte” e mi ha colpito, osservando la sala e la cucina a vista, l'estrema armonia nei momenti, l'intesa, la puntualità della comanda e anche il risultato dei piatti. Ed è lì che mi sono chiesto: ma se un anello di questa catena fosse preso da egocentrismo che fine farebbe l'armonia? C'è poi un dato che mi ha sorpreso: il locale era pieno in un lunedì sera, complice anche il prezzo giusto, per una cucina che, senza esitazione, si può paragonare a quella che definiscono “stellata”. Di contro, conosco ristoranti che hanno raggiunto traguardi importanti e nonostante l'uscita di scena del cuoco che ha concorso al successo, perseguono nella medesima impostazione di prima, senza ritoccare i prezzi. E quando ci sono andato erano vuoti. Ora questa metafora cuciniera dice che l'antidoto al pericolo del narcisismo è proprio l'attaccamento alla realtà, la lettura di essa, la capacità di interpretarla non immaginandosi eroi solitari, ma cercando compagni di strada con cui costruire quella cosa che si chiama “bene comune”. Per questo le derive personalistiche sono spesso l'anticamera di qualcosa che distorce la realtà, mentre la continua ricerca della colleganza è la strada per dire che ognuno che ci sta accanto vale per sé e anche per me. Non ci si salva da soli, questo appello forse lo abbiamo capito in tanti: non si fanno fughe in avanti davanti alla costruzione di equilibri necessari alla pace. E questo, purtroppo, più di qualcuno non lo ha capito.
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