Il Quebec di una volta era una vera “roccaforte” cattolica nel Nordamerica. Un serbatoio apparentemente inesauribile di vocazioni sacerdotali e religiose. Ma da alcuni decenni questa provincia francofona del Canada ha subito un processo di secolarizzazione impressionante. Con un crollo verticale della pratica religiosa. E al tema della secolarizzazione Papa Francesco dedica il suo discorso ai vescovi, sacerdoti e religiosi raccolti nella cattedrale di Notre Dame de Quebec.
E’ il secondo appuntamento della giornata di giovedì, dopo la Messa celebrata in mattinata nel Santuario di Sainte-Anne-de-Beaupré. E’ un discorso impegnativo, quello del vescovo di Roma, che riguarda il Paese visitato, ma non solo.
Francesco ricorda che secolarizzazione “da tempo ha ormai trasformato lo stile di vita delle donne e degli uomini di oggi, lasciando Dio quasi sullo sfondo”, tanto che “la sua Parola non pare più una bussola di orientamento per la vita, per le scelte fondamentali, per le relazioni umane e sociali”. Ma subito fa una precisazione. Importante. “Quando osserviamo la cultura in cui siamo immersi, i suoi linguaggi e i suoi simboli, - avverte - occorre stare attenti a non restare prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie”. Così, osserva, ci sono “due sguardi possibili nei confronti del mondo in cui viviamo”: lo sguardo “negativo” e quello “che discerne”.
Lo “sguardo negativo” ha origine “spesso da una fede che, sentendosi attaccata, si concepisce come una specie di ‘armatura’ per difendersi dal mondo”. Questo sguardo “con amarezza accusa la realtà dicendo: ‘il mondo è cattivo, regna il peccato’, e rischia così di rivestirsi di uno ‘spirito da crociata’”. “Stiamo attenti a questo, - avverte il Papa - perché non è cristiano”. Infatti non è “il modo di fare di Dio, il quale – ci ricorda il Vangelo – ‘ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’”. E’ vero che il Signore “detesta la mondanità”, ma “ha uno sguardo buono sul mondo”. E tutti noi, aggiunge Francesco, siamo chiamati “ad avere uno sguardo simile a quello di Dio, che sa distinguere il bene ed è ostinato nel cercarlo, nel vederlo e nell’alimentarlo”. Uno sguardo che non è “ingenuo”, ma che “discerne la realtà”.
Francesco cita San Paolo VI che distingueva tra secolarizzazione - intesa come “lo sforzo in sé giusto e legittimo, per nulla incompatibile con la fede o con la religione”, di scoprire le leggi della realtà e della stessa vita umana poste dal Creatore - e il secolarismo, una concezione di vita cioè “che separa totalmente dal legame con il Creatore, cosicché Dio diventa ‘superfluo e ingombrante’ e si generano ‘nuove forme di ateismo’ subdole e svariate”. E invita la Chiesa a “saper fare queste distinzioni”, a “discernere”. Perché se si cede “allo sguardo negativo” il rischio è di “far passare un messaggio sbagliato”, come se dietro alla critica sulla secolarizzazione ci fosse da parte ecclesiale “la nostalgia di un mondo sacralizzato, di una società di altri tempi nella quale la Chiesa e i suoi ministri avevano più potere e rilevanza sociale”. E questa “è una prospettiva sbagliata”.
Il Papa cita anche il grande studioso Charles Taylor, e afferma che “il problema della secolarizzazione, per noi cristiani, non dev’essere la minore rilevanza sociale della Chiesa o la perdita di ricchezze materiali e privilegi”. La secolarizzazione piuttosto “ci chiede di riflettere sui cambiamenti della società, che hanno influito sul modo in cui le persone pensano e organizzano la vita”. Così “se ci soffermiamo su questo aspetto, ci accorgiamo che non è la fede a essere in crisi, ma certe forme e modi attraverso cui la annunciamo”. Ecco quindi che la secolarizzazione diventa “una sfida per la nostra immaginazione pastorale”. Così lo “sguardo che discerne” stimola a ritrovare “una nuova passione per l’evangelizzazione, a cercare nuovi linguaggi, a cambiare alcune priorità pastorali, ad andare all’essenziale”.
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E su questo Francesco propone tre sfide. La prima è “far conoscere Gesù”. Ma per riuscirci, oggi “non possiamo presumere di comunicare la gioia della fede presentando aspetti secondari a chi non ha ancora abbracciato il Signore nella vita, oppure soltanto ripetendo alcune pratiche o replicando le forme pastorali del passato”. Occorre invece “trovare vie nuove per annunciare il cuore del Vangelo a quanti non hanno ancora incontrato Cristo”. E “ciò presuppone una creatività pastorale per raggiungere le persone là dove vivono, trovando occasioni di ascolto, di dialogo e di incontro”.
La seconda sfida proposta dal Papa è “la testimonianza”, perché per annunciare il Vangelo bisogna anche essere credibili. E a questo proposito il Papa parla di due fenomeni che hanno colpito la Chiesa in Canada: gli abusi clericali e il male inflitto agli indigeni. Gli abusi sessuali commessi contro minori e persone vulnerabili, dice, sono “scandali che richiedono azioni forti e una lotta irreversibile”. “Io vorrei, insieme a voi, - aggiunge - chiedere ancora perdono a tutte le vittime. Il dolore e la vergogna che proviamo deve diventare occasione di conversione: mai più!”. Pensando al cammino di guarigione e riconciliazione con i nativi Francesco afferma con nettezza: “mai più la comunità cristiana si lasci contaminare dall’idea che esista una superiorità di una cultura rispetto ad altre e che sia legittimo usare mezzi di coercizione nei riguardi degli altri”. E per sconfiggere questa “cultura dell’esclusione”, sottolinea il Papa, “occorre che iniziamo noi: i pastori, che non si sentano superiori ai fratelli e alle sorelle del Popolo di Dio; gli operatori pastorali, che non intendano il loro servizio come potere”.
Infine la terza sfida, “la fraternità”. La Chiesa infatti “sarà credibile testimone del Vangelo quanto più i suoi membri vivranno la comunione, creando occasioni e spazi perché chiunque si avvicini alla fede trovi una comunità ospitale, che sa ascoltare ed entrare in dialogo, che promuove una qualità buona delle relazioni”. La Chiesa “è chiamata a incarnare questo amore senza frontiere, per costruire il sogno che Dio ha per l’umanità: essere fratelli tutti”. E la via è questa: “promuovere relazioni di fraternità con tutti, con i fratelli e le sorelle indigeni, con ogni sorella e fratello che incontriamo, perché nel volto di ognuno si riflette la presenza di Dio”.
Quelle elencate “sono soltanto alcune sfide” conclude Francesco. “Non dimentichiamo – puntualizza - che possiamo portarle avanti solo con la forza dello Spirito, che sempre dobbiamo invocare nella preghiera”. Con una raccomandazione finale: “non chiudiamoci nell’“indietrismo” ma andiamo avanti, con gioia!”.
Il Papa davanti alla tomba di San Francesco de Laval dove ha sostato qualche in preghiera silenziosa - Vatican media
L’ultimo appuntamento pubblico del giovedì canadese di Francesco si chiude qui, tra gli applausi scroscianti dei presenti.
Venerdì 29 luglio è l’ultimo giorno del “pellegrinaggio penitenziale” di Francesco. Nella mattinata canadese, dopo un incontro privato con i gesuiti locali, c’è (alle 17,45 ora italiana) quello con una delegazione di indigeni presenti in Quebec. Quindi all’ora di pranzo (le 18,45 da noi) il trasferimento in aereo a Iqaluit, vicino al circolo polare, per l’ultima rapida tappa del viaggio. Qui è previsto un incontro privato con alunni delle ex scuole residenziali in questa zona abitata dai nativi Inuit (una volta chiamati inappropriatamente eschimesi) e poi quello con i giovani e gli anziani.
Quindi Papa e seguito riprendono l’Airbus di Ita Airways per il rientro in Italia. L’arrivo a Fiumicino è previsto per le 7,50 di sabato.
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