La sete di Dio e la capacità di riconoscerla sono al centro della seconda meditazione di don Josè Tolentino de Mendonça, predicatore degli Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana in corso ad Ariccia. Il teologo e poeta portoghese indica, sotto il titolo "mi sono accorto di essere assetato", la predisposizione d’animo e gli strumenti necessari per interpretare il desiderio di Dio che è in noi, a contemplarlo ed educarlo per valorizzare la spiritualità della sete. A tale scopo il predicatore sgombra subito il campo spiegando che “entrare in contatto con la propria sete non è un'operazione facile, ma se non lo facciamo la vita spirituale perde aderenza alla nostra realtà”.
Prendere coscienza della nostra sete
Dobbiamo dunque perdere la paura di riconoscere la nostra sete e la nostra secchezza. Come prima azione don Josè esorta quindi a non intellettualizzare troppo la fede: "ci siamo costruiti un fenomenale castello di astrazioni. Non è a caso che la teologia degli ultimi secoli si sia soffermata così a lungo a dibattere le questioni sollevate dall'Illuminismo, e sia scivolata via da quelle poste, per esempio, dal Romanticismo, come le questioni dell'identità, collettiva e personale, dell'emergere del soggetto o del mal de vivre. Siamo maggiormente preoccupati della credibilità razionale dell'esperienza di fede che della sua credibilità esistenziale, antropologica e affettiva. Ci occupiamo più della ragione che del sentimento. Ci lasciamo dietro le spalle la ricchezza del nostro mondo emozionale."
Parlare della sete è parlare dell’esistenza reale e non della fiction di noi stessi alla quale troppe volte ci adattiamo, è illuminare un'esperienza, più che un concetto. Serve quindi scuotere il torpore quotidiano perché “può avvenire che abbiamo la più grande difficoltà perfino ad ammettere di essere assetati”. Uno dei requisiti per ricevere l'acqua della vita è riconoscersi assetati.
Interpretare la sete
Dopo avere preso coscienza della propria sete, bisogna interpretare questo bisogno che è in noi. Don Josè Tolentino de Mendonça evidenzia che in questa fase si deve distinguere il desiderio da una mera necessità, che si placa e si soddisfa con il possesso di un oggetto:
Non andiamo a confondere il desiderio con i bisogni. Il desiderio è una mancanza mai completamente soddisfatta, è una tensione, una ferita sempre aperta, un'interminabile esposizione all'alterità. Il desiderio è un'aspirazione che ci trascende e che non determina, come la necessità, un termine e un fine. La necessità è una carenza contingente del soggetto. L'infinito del desiderio è desiderio di infinito.
“Il desiderio umano si differenzia così dal desiderio degli animali”, dice ancora il predicatore, ed essere umani significa “sentire che l'esistenza dipende da questo riconoscimento più che da qualsiasi altra cosa”. Questo anelito è mortificato nelle società capitalistiche, che sfruttano avidamente le compulsioni di soddisfazione di necessità indotte, rimuovendo la sete e il desiderio tipicamente umani. In pratica, sottolinea don José, il discorso capitalistico promette di liberare il desiderio dalle inibizioni della legge e dalla morale in nome di una soddisfazione illimitata. E quando questo si verifica “il piacere, la passione, la gioia si esauriscono in un consumismo sfrenato, tanto di oggetti come di persone”, si arriva così all'estinzione della sete, all'agonia del desiderio. La vita perde il suo orizzonte.
La sete di Dio
“Come la cerva anela ai corsi d'acqua”. Don José attinge infine al salmo 42 per mettere a fuoco la ricerca per dissetarsi della sete di Dio. Se si contempla il mondo con amore si scopre che “è tutto il creato a essere attraversato da questo desiderio viscerale”. Il predicatore cita poi le parole di sant’Agostino:
“Corri alla fonte, anela alla fonte; ma non correre a casaccio, non correre come corre un qualsiasi animale; corri come un cervo... Non essere lento... il cervo è velocissimo”.
Don José invita inoltre a valorizzare la spiritualità della sete, più che le strutture: "Abbiamo forse bisogno di ritrovare il desiderio, la sua itineranza e apertura, più che non le codificazioni in cui tutto è giù previsto, stabilito, garantito. L'esperienza del desiderio non è un titolo di proprietà o una forma di possesso: è anzi una condizione di mendicità. Il credente è un mendicante di misericordia".
In conclusione, il predicatore si rivolge in particolare ai pastori chiamandoli alla riconciliazione con la loro vulnerabilità, e ricorda a tutti l’ammonimento di Papa Francesco: “Una delle peggiori tentazioni è l'autosufficienza e la autoreferenzialità”. Al contrario abbracciare la propria vulnerabilità è accedere al desiderio di essere riconosciuti e toccati come il lebbroso che si accostò a Gesù (Mt 8,3), come la suocera di Pietro a letto con la febbre (Mt 8,15), come la donna che da dodici anni soffriva di emorragie (Mt 9,20), come coloro che gridavano «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!» (Mt 8,27).