Non c’è dubbio che i primi a pagare i frutti della guerra siano i più indifesi e i più deboli. Parte da questo assunto il messaggio del Papa per la Vi Giornata mondiale dei poveri che sarà celebrata il prossimo 13 novembre. Al centro l’invito a tenere lo sguardo su Gesù Cristo che, come recita il titolo, «si è fatto povero per voi».
E i destinatari di quest’abbassamento sono innanzitutto quelli che oggi subiscono in modo più grave, dopo la pandemia le conseguenze del «diretto intervento di una “superpotenza”, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli». E allora si ripetono scene che si pensava di poter dimenticare: «deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità». E poi milioni di donne, bambini e anziani costretti a sfidare il pericolo delle bombe pur di mettersi in salvo cercando rifugio come profughi nei Paesi confinanti. Di fronte a questo scenario il credente è invitato a tenere lo sguardo fisso su Gesù, il quale «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).
Significa, insieme alla preghiera, dare concretezza alla solidarietà, lasciando da parte la retorica per rimboccarsi le maniche, per farsi coinvolgere negli aiuti in modo diretto. Il rischio è infatti di cedere all’indifferenza o peggio, per «un eccessivo attaccamento al denaro» di restare «impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio». Un simile atteggiamento – accusa il Papa – impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri».
Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare. Al contrario invece sostenere chi è in difficoltà è un dovere del cristiano, e va realizzato senza comportamenti assistenzialistici, «come spesso accade» ma impegnandosi «perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto». Di qui l’urgenza di trovare nuove strade che possano andare oltre l’impostazione di quelle politiche sociali «concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che unisca i popoli».
Alla luce della fede, del resto, esiste un paradosso che definisce due tipi di povertà. «Quella che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse. È la povertà disperata, priva di futuro, perché imposta dalla cultura dello scarto che non concede prospettive né vie d’uscita».
Al contrario esiste una libertà che libera: «è quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale. In effetti, si può facilmente riscontrare quel senso di insoddisfazione che molti sperimentano, perché sentono che manca loro qualcosa di importante e ne vanno alla ricerca come erranti senza meta. Desiderosi di trovare ciò che possa appagarli, hanno bisogno di essere indirizzati verso i piccoli, i deboli, i poveri per comprendere finalmente quello di cui avevano veramente necessità. Incontrare i poveri permette di mettere fine a tante ansie e paure inconsistenti».
L’esempio da imitare è Charles de Foucauld, l’espressione da fare nostra è di san Giovanni Crisostomo: «Se non puoi credere che la povertà ti faccia diventare ricco, pensa al Signore tuo e smetti di dubitare di questo. Se egli non fosse stato povero, tu non saresti ricco; questo è straordinario, che dalla povertà derivò abbondante ricchezza. Paolo intende qui con “ricchezze” la conoscenza della pietà, la purificazione dai peccati, la giustizia, la santificazione e altre mille cose buone che ci sono state date ora e sempre. Tutto ciò lo abbiamo grazie alla povertà».