madre migrante con il figlio - Ansa
Pubblichiamo qui una parte della prefazione del cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, al nuovo libro di papa Francesco "Ti racconto il Vangelo. Domenica dopo domenica riflessioni su Matteo" (a cura di Giuseppe Merola, Libreria Editrice Vaticana, pp. 248, euro 15).
«Io, per cosa vivo?». La domanda di papa Francesco, che affiora ad un certo punto dalle pagine del libro Ti racconto il Vangelo, ci colpisce con la forza scomoda degli imprevisti della vita: per cosa viviamo? A cosa diamo importanza, noi, nelle nostre scelte? Dove abbiamo messo il nostro cuore? È la domanda che si completa con la sua concretizzazione: per chi vivo? È la domanda che ci libera dal vivere per sé stessi.
Come un educatore premuroso, Francesco domanda quello che possiamo dare. E quello che ci porta a dare il massimo e anche il meglio di noi è l’amore. Non capiamo la Parola di Dio senza “sentire” tutto l’amore che ci trasmette e ci chiede. Amare è la vocazione cui siamo chiamati, la nostra grazia: trovare l’amore per cui vivere e perdere tutto della nostra vita.
Siamo figli di Dio, non servi, ma amici. Non siamo estranei o esecutori, che magari pensano male del padrone e soprattutto non capiscono la sua volontà. Quando scopriamo che la volontà di Dio esprime profondamente la nostra, la interpreta, risponde ancora più del desiderio che essa contiene, ecco, lì troviamo il senso e la bellezza di ascoltare e mettere in pratica il Vangelo. Il Papa lo ripete con dolce insistenza e la consapevolezza paterna di chi non si scandalizza per la nostra debolezza e per le contraddizioni del cuore umano: «Se vivo per le cose del mondo che passano, torno alla polvere, rinnego quello che Dio ha fatto in me. Se vivo solo per portare a casa un po’ di soldi e divertirmi, per cercare un po’ di prestigio, fare un po’ di carriera, vivo di polvere». Cosa c’è di umano nel vivere per i soldi, nel riempire le tasche (quelle che poi sappiamo non ci sono nel sudario!) e nello svuotare il cuore?
Tutto qui?
Sì, dobbiamo ammetterlo. Il nostro cuore è malato. La nostra società è malata. Lo vediamo da tanti segnali: l’inverno demografico è la prova che siamo chiusi al futuro e all’imprevedibile che ogni nuova nascita di un bimbo o una bimba arreca; la chiusura verso chi proviene da altre zone del mondo ci dice che non abbiamo ancora capito che il mondo è per davvero «il villaggio globale» e che deve diventare «la casa comune» di cui ci parla Laudato si’; i consumi astronomici di antidepressivi che si registrano in Italia ci parlano di un Paese stanco, disilluso, ripiegato su di sé. Dove trovare dunque quel colpo d’ala che ci può far rinascere, come persone e come comunità? Papa Francesco ha sempre unito lo spirituale alla storia. Cosa diventa, infatti, il cristianesimo quando resta disincarnato? La medicina per curare la nostra infermità spirituale ha un nome, Gesù: «Solo Gesù, che conosce e ama il nostro cuore, può guarirlo». Perché il nostro cuore è ferito dal nostro egoismo, dalle nostre piccinerie, chiusure e autolesionismi.
Sì, «il peccato è come un velo scuro che copre il nostro viso e ci impedisce di vedere chiaramente noi stessi e il mondo; il perdono del Signore toglie questa coltre di ombra e di tenebra e ci ridona nuova luce». Abbiamo bisogno di questa luce come abbiamo bisogno dell’aria per respirare. E questa luce ci viene incontro nella Parola di Dio: è il racconto della vita di Gesù, che troviamo nel Vangelo, l’attestazione bella e gioiosa che Dio non è una divinità lontana né un idolo insensibile. Il Dio cristiano si è manifestato in un bimbo che è nato in una stalla, in un uomo che predicava la pace e la misericordia, in un crocifisso che si è arreso alla malvagità umana.