Papa Francesco arriva all'università al-Azhar al Cairo (Ansa)
Il dialogo tra le diverse tradizioni religiose «non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità». E può aiutare tutti a riconoscere che ogni forma di odio giustificato in nome della religione si fonda su una «falsificazione idolatrica di Dio».
Il viaggio di papa Francesco in Egitto ha il suo primo momento forte all’Università di al-Azhar. Il Papa interviene alla Conferenza internazionale per la pace organizzata dal prestigioso centro accademico sunnita: esordisce con un saluto in lingua araba (Al Salamo alaikum, la pace sia con voi) e ringrazia «mio fratello», il grande Imam Ahmed al Tayyib per averlo «cortesemente invitato».
Poi una’intensa, breve lectio magistralis che tocca nodi cruciali. Il Medio Oriente stravolto dalle guerre e dai settarismi, il rapporto tra violenza e linguaggio religioso, il dialogo tra le comunità e le identità religiose, il ruolo dei leader religiosi nell’aprire cammini di pace e nel denunciare chi profana il nome di Dio compiendo atrocità nel suo nome. Il Papa offre i suoi pensieri traendoli dalla «gloriosa storia della terra egiziana», definita da lui come «terra di civiltà e terra di alleanze».
L’emergenza educativa
La civiltà sorta sulle rive del Nilo, ricorda il Papa, «è stata sinonimo di civilizzazione». E «la ricerca del sapere e il valore dell’istruzione sono state scelte feconde di sviluppo intraprese dagli antichi abitanti di questa terra». I frutti maturati nel passato indicano la strada anche per l’oggi: perché anche oggi – sottolinea il Papa in apertura del suo intervento, con un implicito accenno a una delle emergenze più avvertite, in un Paese con il 70% della popolazione sotto i 30 anni «non vi sarà pace senza un’educazione adeguata delle giovani generazioni. E non vi sarà un’educazione adeguata per i giovani di oggi se la formazione loro offerta non sarà ben rispondente alla natura dell’uomo, essere aperto e relazionale». Solo un’educazione che matura in sapienza – rimarca il Vescovo di Roma – supera «la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi»; rimane aperta e in movimento, umile e indagatrice al tempo stesso», e sa «valorizzare il passato e metterlo in dialogo con il presente, senza rinunciare a un’adeguata ermeneutica». Dal passato «impara che dal male scaturisce solo male e dalla violenza solo violenza, in una spirale che finisce per imprigionare».
Dialogo interreligioso non una «strategia con secondi fini»
Papa Francesco poi si avvicina al tema specifico della conferenza, sottolineando che «nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture». Definisce come «un esempio incoraggiante» la ripresa del Dialogo tra il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Comitato di al-Azhar per il Dialogo, richiamando tre «orientamenti fondamentali» che aiutano il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Non si costruisce dialogo autentico sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro – riconosce il Papa – e nemmeno se si tratta come un nemico da temere colui che è differente da sé culturalmente o religiosamente. Inoltre, la sincerità delle intenzioni è un segno necessario per attestare che il dialogo «non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione». L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro – rimarca il Successore di Pietro - «è l’inciviltà dello scontro. E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene», «che trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità».
Cristiani e musulmani, e tutti i credenti, in quest’ora cosi complessa della storia sono chiamati a dare un contributo particolare:: «viviamo sotto il sole di un unico Dio misericordioso… In questo senso possiamo dunque chiamarci gli uni gli altri fratelli e sorelle perché senza Dio la vita dell’uomo sarebbe come il cielo senza il sole» ricorda Papa Francesco, citando san Giovanni Paolo II, e indicando la via di una «rinnovata fraternità in nome di Dio» che può sorgere proprio in Egitto, la terra dove san Francesco di Assisi, venne e «incontrò il Sultano Malik al Kamil».
Una terra di alleanze
In Egitto, lungo i secoli – fa notare papa Francesco alla platea di leader religiosi riuniti a Al Azhar - «fedi diverse si sono incontrate e varie culture si sono mescolate, senza confondersi ma riconoscendo l’importanza di allearsi per il bene comune». Il pensiero del
Papa corre al Sinai, il “Monte dell’Alleanza” che «ci ricorda anzitutto che un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal
Cielo, che l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte, e nemmeno può salire sul monte per impadronirsi di Dio». Il tempo presente – nota il Papa – è segnato da un pericoloso paradosso, per cui «da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società;
dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica». Mentre le fedi religiose chiamate a far riaffiorare sempre «la vocazione dell’uomo, non fatto per esaurirsi nella precarietà degli affari terreni, ma per incamminarsi verso l’Assoluto a cui tende». Per questo, oggi specialmente – sottolinea Papa Bergoglio «la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini».
Smascherare la violenza travestita di sacro
Rievocando l’alleanza stretta tra Dio e gli uomini sul Monte Sinai, attraverso le «dieci parole» consegnate da Dio a Mosè. Papa Francesco ha preso di petto la questione più delicata, quello della contaminazione tra violenza e religione. Il comandamento «non uccidere» mostra che «Dio, amante della vita, non cessa di amare l’uomo e per questo lo esorta a contrastare la via della violenza, quale presupposto fondamentale di ogni alleanza sulla terra». E le religioni sono fatalmente chiamate in prima linea a smascherare le perverse commistioni tra linguaggio religioso e atti violenti. Proprio riconoscere il «bisogno dell’Assoluto» iscritto nel cuore dell’uomo esclude di per sé «qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza. La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità». I leader religiosi, in particolare, sono («siamo», dice papa Bergoglio) chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità, facendo leva sull’assolutizzazione degli egoismi anziché sull’autentica
apertura all’Assoluto». Ogni forma di odio giustificato in nome della religione si fonda su una «falsificazione idolatrica di Dio». Perché solo la pace è santa e «nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome».
Per questo papa Francesco ha invitato tutti i presenti a affermare «l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare»,
e a proclamare insieme «la sacralità di ogni vita umana contro qualsiasi forma di violenza fisica, sociale, educativa o psicologica. La fede che non nasce da un cuore sincero e da un amore autentico verso Dio Misericordioso» ha aggiunto il Papa – rappresenta solo «una forma di adesione convenzionale o sociale che non libera l’uomo ma lo schiaccia».
Le religioni, volàno di pace
I leader religiosi – ha proseguito papa Francesco – non hanno solo la missione di denunciare le teorie perverse che mescolano parole religiose e sacrifici umani. Ogni autentica attesa religiosa – ha sottolineato il Vescovo di Roma - «ha in sé la vocazione a
promuovere la pace, oggi come probabilmente mai prima». Per questo, «senza cedere a sincretismi concilianti», ha detto il Papa rivolto alla platea di rappresentanti di diverse tradizioni religiose - il nostro compito è quello di pregare gli uni per gli altri domandando a Dio il dono della pace, incontrarci, dialogare e promuovere la concordia in spirito di collaborazione e amicizia. Come cristiani, ha aggiunto il Papa, citando il documento conciliare Nostra Aetate, «non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati a immagine di Dio». Soprattutto oggi, in un mondo dove «c’è bisogno di costruttori di pace, non di provocatori di conflitti; di pompieri e non di incendiari; di predicatori di riconciliazione e non di banditori di distruzione».
Combattere insieme povertà e traffico d’armi
In un mondo dominato da blocchi di potere che si allontanano «dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno», provocando per reazione l’insorgenza di «populismi demagogici», il Papa ha ricordato che che «nessun incitamento violento garantirà la pace», mentre in realtà «ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza». Uscendo da ogni astrattezza spiritualista, il Papa sottolinea che «per prevenire i conflitti ed edificare la pace è fondamentale adoperarsi per rimuovere le situazioni di povertà e di sfruttamento, dove gli estremismi più facilmente attecchiscono, e bloccare i flussi di denaro e di armi verso chi fomenta la violenza». Aggiunge, andando
ancor più alla radice, che «è necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate». E conclude riconoscendo all’Egitto la vocazione di nazione chiamata a «sviluppare processi di pace per questo amato popolo e per l’intera regione mediorientale».