Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio.
Sono contento di prendere parte ai vostri lavori e ringrazio Mons. Rino Fisichella per la sua
introduzione.
Voi lavorate nella pastorale in diverse Chiese del mondo, e vi siete riuniti per riflettere
insieme sul progetto pastorale della Evangelii gaudium. In effetti io stesso ho scritto che questo
documento ha un “significato programmatico e dalle conseguenze importanti” (n. 25). E non
potrebbe essere altrimenti quando si tratta della missione principale della Chiesa, cioè
evangelizzare! Ci sono dei momenti, però, in cui questa missione diventa più urgente e la nostra
responsabilità ha bisogno di essere ravvivata.
Mi vengono in mente, anzitutto, le parole del Vangelo di Matteo dove si dice che Gesù
«vedendo le folle, ne sentì compassione perché erano stanche e sfinite come pecore che non
hanno pastore» (9,36). Quante persone, nelle tante periferie esistenziali dei nostri giorni, sono
“stanche e sfinite” e attendono la Chiesa, attendono noi! Come poterle raggiungere? Come
condividere con loro l’esperienza della fede, l’amore di Dio, l’incontro con Gesù? E’ questa la
responsabilità delle nostre comunità e della nostra pastorale.
Il Papa non ha il compito di «offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà
contemporanea» (Evangelii gaudium, 51), ma invita tutta la Chiesa a cogliere i segni dei tempi
che il Signore ci offre senza sosta. Quanti segni sono presenti nelle nostre comunità e quante
possibilità il Signore ci pone dinanzi per riconoscere la sua presenza nel mondo di oggi! In
mezzo a realtà negative, che come sempre fanno più rumore, noi vediamo anche tanti segni che
infondono speranza e danno coraggio. Questi segni, come dice la Gaudium et spes, devono
essere riletti alla luce del Vangelo (cfrn n. 4 e 44): questo è il “tempo favorevole” (cfr 2 Cor 6,2),
è il momento dell’impegno concreto, è il contesto dentro il quale siamo chiamati a lavorare per
far crescere il Regno di Dio (cfr Gv 4, 35-36). Quanta povertà e solitudine purtroppo vediamo
nel mondo di oggi! Quante persone vivono in grande sofferenza e chiedono alla Chiesa di essere
segno della vicinanza, della bontà, della solidarietà e della misericordia del Signore. Questo è
un compito che in modo particolare spetta a quanti hanno la responsabilità della pastorale: al
vescovo nella sua diocesi, al parroco nella sua parrocchia, ai diaconi nel servizio alla carità, ai
catechisti e alle catechiste nel loro ministero di trasmettere la fede… Insomma, quanti sono
impegnati nei diversi ambiti della pastorale sono chiamati a riconoscere e leggere questi segni
dei tempi per dare una risposta saggia e generosa. Davanti a tante esigenze pastorali, davanti a
tante richieste di uomini e donne, corriamo il rischio di spaventarci e di ripiegarci su noi stessi
in atteggiamento di paura e difesa. E da lì nasce la tentazione della sufficienza e del clericalismo,
quel codificare la fede in regole e istruzioni, come facevano gli scribi, i farisei e i dottori della
legge del tempo di Gesù. Avremo tutto chiaro, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca
continuerà ad avere fame e sete di Dio.
C’è una seconda parola che mi fa riflettere. Quando Gesù racconta del padrone di una vigna
che, avendo bisogno di operai, uscì di casa in diverse ore del giorno per chiamare lavoratori nella
sua vigna (cfr Mt 20,1-16). Non è uscito una sola volta. Nella parabola Gesù dice che è uscito
almeno cinque volte: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio.
C’era tanto bisogno nella vigna e questo signore ha passato quasi tutto il tempo per andare nelle
strade e nelle piazze del paese a cercare operai. Pensate a quelli dell’ultima ora: nessuno li aveva
chiamati; chissà come si potevano sentire, perché alla fine della giornata non avrebbero portato
a casa niente per sfamare i loro figli. Ecco, quanti sono responsabili della pastorale possono
trovare un bell’esempio in questa parabola. Uscire in diverse ore del giorno per andare ad
incontrare quanti sono in ricerca del Signore. Raggiungere i più deboli e i più disagiati per dare
loro il sostegno di sentirsi utili nella vigna del Signore, fosse anche per un’ora soltanto.
Un altro aspetto: non rincorriamo, per favore, la voce delle sirene che chiamano a fare della
pastorale una convulsa serie di iniziative, senza riuscire a cogliere l’essenziale dell’impegno di
evangelizzazione. A volte sembra che siamo più preoccupati di moltiplicare le attività piuttosto
che essere attenti alle persone e al loro incontro con Dio. Una pastorale che non ha questa
attenzione diventa poco alla volta sterile. Non dimentichiamo di fare come Gesù con i suoi
discepoli: dopo che questi erano andati nei villaggi per portare l’annuncio del Vangelo,
ritornarono contenti per i loro successi;ma Gesù li prende in disparte, in un luogo solitario per
stare un po’ insieme con loro (cfr Mc 6,31). Una pastorale senza preghiera e contemplazione non
potrà mai raggiungere il cuore delle persone. Si fermerà alla superficie senza consentire che il
seme della Parola di Dio possa attecchire, germogliare, crescere e portare frutto (cfr Mt 13, 1-23).
So che tutti voi lavorate molto, e per questo voglio lasciarvi un’ultima parola importante:
pazienza. Pazienza e perseveranza. Non abbiamo la “bacchetta magica” per tutto, ma possediamo
la fiducia nel Signore che ci accompagna e non ci abbandona mai. Nelle difficoltà come nelle
delusioni che sono presenti non di rado nel nostro lavoro pastorale, abbiamo bisogno di non
venire mai meno nella fiducia nel Signore e nella preghiera che la sostiene. Non dimentichiamo,
comunque, che l’aiuto ci viene dato, in primo luogo, proprio da quanti sono da noi avvicinati e
sostenuti. Facciamo il bene, ma senza aspettarci la ricompensa. Seminiamo e diamo testimonianza.
La testimonianza è l’inizio di un’evangelizzazione che tocca il cuore e lo trasforma.
Grazie del vostro impegno! Vi benedico e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
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