Cari fratelli e sorelle, buongiorno, e mi scuso per il ritardo, ma c’erano tante, tante udienze; un’udienza, si dice, mezz’oretta, ma poi sono 40 minuti, l’altra lo stesso, e così il conto lo pagate voi. [ride] Un’altra cosa: sua Eccellenza ha parlato di due motivazioni, di due motivi per chiedere questa udienza, voi: è vero. Ma c’è un terzo che lei non ha detto. Io penso – ma è un’ opinione personale – che voi siete un po’ gelosi perché ho ricevuto la Corallo e voi no. [ridono] Un po’ di gelosia c’è lì, no?
Vi do il benvenuto e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza. Ringrazio il Presidente della Fondazione “Comunicazione e cultura” e il Direttore per i saluti che mi hanno rivolto. E saluto Lucio, che è all’ospedale.
Voi lavorate per la Televisione della Chiesa italiana e proprio per questo siete chiamati a vivere con maggiore responsabilità il vostro servizio. A questo riguardo, vorrei condividere con voi tre pensieri che mi stanno particolarmente a cuore intorno al ruolo del comunicatore.
Primo. I media cattolici hanno una missione molto impegnativa nei confronti della comunicazione sociale: cercare di preservarla da tutto ciò che la stravolge e la piega ad altri fini. Spesso la comunicazione è stata sottomessa alla propaganda, alle ideologie, a fini politici o di controllo dell’economia e della tecnica. Ciò che fa bene alla comunicazione è in primo luogo la parresia, cioè il coraggio di parlare in faccia, di parlare con franchezza e libertà. Se siamo veramente convinti di ciò che abbiamo da dire, le parole vengono. Se invece siamo preoccupati di aspetti tattici – il tatticismo? – il nostro parlare sarà artefatto, poco comunicativo, insipido, un parlare di laboratorio. E questo non comunica niente. La libertà è anche quella rispetto alle mode, ai luoghi comuni, alle formule preconfezionate, che alla fine annullano la capacità di comunicare. Risvegliare le parole: risvegliare le parole. Ma, ogni parola ha dentro di sé una scintilla di fuoco, di vita. Risvegliare quella scintilla, perché venga. Risvegliare le parole: ecco il primo compito del comunicatore.
Secondo. La comunicazione evita sia di “riempire” che di “chiudere”. Si “riempie” quando si tende a saturare la nostra percezione con un eccesso di slogan che, invece di mettere in moto il pensiero, lo annullano. Si “chiude” quando, invece di percorrere la via lunga della comprensione, si preferisce quella breve di presentare singole persone come se fossero in grado di risolvere tutti i problemi, o al contrario come capri espiatori, su cui scaricare ogni responsabilità. Correre subito alla soluzione, senza concedersi la fatica di rappresentare la complessità della vita reale, è un errore frequente dentro una comunicazione sempre più veloce e poco riflessiva. Aprire e non chiudere: ecco il secondo compito del comunicatore, che sarà tanto più fecondo quanto più si lascerà condurre dall’azione dello Spirito Santo, il solo capace di costruire unità e armonia.
Terzo. Parlare alla persona tutta intera: ecco il terzo compito del comunicatore. Evitando quelli che, come ho già detto, sono i peccati dei media la disinformazione, la calunnia e la diffamazione. Questi tre sono i peccati dei media. La disinformazione, in particolare, spinge a dire la metà delle cose, e questo porta a non potersi fare un giudizio preciso sulla realtà. Una comunicazione autentica non è preoccupata di “colpire”: l’alternanza tra allarmismo catastrofico e disimpegno consolatorio, due estremi che continuamente vediamo riproposti nella comunicazione odierna, non è un buon servizio che i media possono offrire alle persone. Occorre parlare alle persone intere: alla loro mente e al loro cuore, perché sappiano vedere oltre l’immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e timoroso. Di questi tre peccati – la disinformazione, la calunnia e la diffamazione – la calunnia, sembra di essere il più insidioso, ma nella comunicazione, il più insidioso è la disinformazione, perché ti porta a sbagliare, all’errore; ti porta a credere soltanto una parte della verità.
Risvegliare le parole, aprire e non chiudere, parlare a tutta la persona rende concreta quella cultura dell’incontro, oggi così necessaria in un contesto sempre più plurale. Con gli scontri non andiamo da nessuna parte. Fare una cultura dell’incontro. E questo è un bel lavoro per voi. Ciò richiede di essere disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri.
So che siete in una fase di ripensamento e riorganizzazione della vostra professionalità al servizio della Chiesa. Vi ringrazio tanto per il vostro lavoro, ringrazio voi per aver accettato questo lavoro. Vi incoraggio per questo e vi auguro buoni frutti.So anche che avete un rapporto stabile con il Centro Televisivo Vaticano – per me è molto importante, questo – che vi permette di raccontare all’Italia il magistero e l’attività del Papa. Vi ringrazio per quello che fate con competenza e amore al Vangelo. E vi ringrazio per lo sforzo di onestà, onestà professionale e onestà morale, che voi volete fare nel vostro lavoro. E’ una strada di onestà, quella che volete fare.
Vi affido alla protezione della Madonna e di San Gabriele Arcangelo, il grande comunicatore: è stato il comunicatore più importante: ha comunicato la grande notizia! E, mentre vi chiedo di continuare a pregare per me, che ne ho bisogno, e vi auguro un santo e felice Natale. E adesso preghiamo la Madonna perché ci ben. Ave o Maria, …