Caro direttore,
molti si affannano a dichiarare la loro adesione al Sì o al No a proposito del referendum costituzionale. Penso conti poco, ormai, aggiungere una bandierina in più a questo o a quello schieramento. Da mesi sono avvelenati i pozzi del dibattito. Lo scontro attuale sta producendo un tifo da stadio per gridare un’appartenenza non per aprirsi alla conoscenza. La lotta non riguarda tanto il quesito referendario, ma la supremazia del proprio partito, anzi del proprio gruppo e sottogruppo all’interno di partiti e movimenti. Il referendum è diventato un plebiscito, una sorta di regolamento di conti fra governo e opposizioni. I toni apocalittici o ultimativi espressi nell’uno e nell’altro fronte appaiono inadeguati e fuorvianti. 'Avvenire' riporta serenamente varie opinioni contrapposte. Ma il clima mediatico generale è confuso e rissoso, banalizza ogni argomento, scoraggia il discernimento critico, annoia, logora e demolisce. Dentro ogni schieramento, poi, sono attive alleanze imbarazzanti e pericolose e opportunismi di vario segno. Ognuno voti senza pensare di partecipare allo scontro tra vita o morte della democrazia. La scelta riguarda laicamente modi diversi di intendere la dinamica istituzionale. Al di là dei punti di vista, diventa prioritario assumere uno stile 'nonviolento' per gestire costruttivamente il conflitto. Le regole sono importanti, ma sono come un abito che si mette sul corpo dei cittadini. Contano poco al di fuori di pratiche sociali generatrici di una convivenza fedele ai princìpi costituzionali. Ciò che conta è la qualità della cittadinanza attiva. Al di là delle regole sono i cittadini e le cittadine a fare o disfare le istituzioni. La riforma, questa o meno, dipenderà molto da chi la usa e da come la usa. In ogni caso, chiunque vinca, restano validi i princìpi fondamentali della Costituzione. È dovere di tutti, 'vincitori' e 'vinti', rispettarli e attuarli. La Repubblica è la casa comune da ricostruire, cercando di prevenire le onde sismiche dei populismi, delle ingiustizie, delle violenze economiche e sociali, del riarmo e delle guerre.
Sergio Paronetto
Sottoscrivo riga per riga il suo appello, caro professor Paronetto. E apprezzo molto che lei faccia riecheggiare anche alcune delle argomentazioni che in questi mesi e settimane di lunga vigilia referendaria abbiamo inanellato spero non del tutto inutilmente, nonostante il frastuono dello scontro e, come scrive, l’avvelenamento progressivo dei «pozzi del dibattito». A cominciare da una verità essenziale: i valori che stanno alla base della nostra civile con-cittadinanza, e che sono contenuti nella prima parte della Costituzione, non sono posti in alcun modo in questione e rappresentano un saldo presidio di democrazia e un patrimonio che dobbiamo solo deciderci a 'investire' per il bene di tutti. Detto questo, mi soffermo su un punto che lei richiama così: «Le regole sono importanti, ma sono come un abito che si mette sul corpo dei cittadini. Contano poco al di fuori di pratiche sociali generatrici di una convivenza fedele ai princìpi costituzionali. Ciò che conta è la qualità della cittadinanza attiva. Al di là delle regole sono i cittadini e le cittadine a fare o disfare le istituzioni». L’estate scorsa, domenica 28 agosto per la precisione, in questo stesso spazio scrivevo che «le democrazie sono come le viviamo» e che «non ci sono forme democratiche buone o cattive in assoluto, ci sono democrazie usate male o usate bene». Ricordarlo può rendere più sgombro il nostro sguardo, più libera la nostra riflessione, più serena e responsabile la nostra decisione mentre ci avviamo al seggio referendario.