La protesta anti-rom di Torre Maura che aveva fatto parlare di sé tutto il Paese per il 'sacrilegio' dei panini calpestati dai contestatori, arriva nel territorio della mia parrocchia, a Roma, in via Facchinetti. Ieri pomeriggio un gruppo di abitanti del quartiere ha impedito a una famiglia rom di entrare nella casa popolare che era stata loro legittimamente assegnata.
È al civico 90 dove padre, madre e figli di origine rom, una volta individuata la loro abitazione hanno però trovato, prima, dei cassonetti posizionati in maniera tale da rendere impossibile il passaggio e, una volta superato l’ostacolo, sono rimasti bloccati dalla serratura sostituita del portoncino. Per evitare il peggio è stato necessario l’intervento dei Carabinieri perché, mentre attendevano l’arrivo del maniscalco per cambiare la serratura, era scoppiata per strada la protesta con decine di residenti che davano vita alla rivolta anti-rom costringendo alla fine la famiglia ad andare via sotto scorta.
Ero lì e, mentre scorrevano nella mia memoria i tanti pronunciamenti dei Papi a favore di rom e sinti (pronunciamenti anche di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e di Paolo VI, non solo di Francesco) mi rendevo conto però che se li avessi ripetuti a chi stava protestando avrei solo ottenuto il risultato di far ricoprire il Pontefice di contumelie.
«La sindaca Raggi preferisce occuparsi dei rom dando loro un tetto anziché darlo alle famiglie romane in difficoltà»; «Vanno a prendere i loro bambini in macchina nei campi nomadi li lavano, li portano a scuola, e il pomeriggio te li ritrovi per strada a chiedere soldi»; «Siccome passano per famiglie disagiate, i loro figli hanno un punteggio più alto dei nostri ed entrano per primi negli asili»; «Fanno sposare, e solo tra di loro, le figlie quando sono ancora bambine, per farle schiave e rafforzare il clan».
Sono solo alcuni dei commenti che ho sentito con le mie orecchie mentre passavo: sono parole che mi hanno ricordato quando papa Francesco nel 2015 aveva detto ai gitani: «Non date modo di parlare male di voi». In questa dolorosa vicenda palpita un vecchissimo vizio dell’uomo: quello della paura che spinge alla generalizzazione.
È vero che i rom fanno affiorare tutte le nostre resistenze perché, di tutti gli stranieri, tra loro ce ne sono di fortemente restii all’integrazione e a cambiare una visione del mondo e, in particolare, della donna per noi inaccettabili, ma è altrettanto vero che non tutti sono uguali. È facile per esempio leggere la storia di J. che è riuscita a rompere lo stereotipo della rom sudicia e mendicante e a sposarsi con un non rom, un 'gagé', come veniamo chiamati al modo dei babbani nei romanzi di Joanne Rowling.
L’errore peggiore è quello della generalizzazione. Diciamo: l’italiano è mafioso, il musulmano è terrorista; e poi aggiungiamo «anche se, a onor del vero, devo dire che il musulmano pakistano che sta a casa mia e mi aiuta a curare la nonna è una bravissima persona ». Perché il pakistano che lavora con me come badante è bravo e gli altri sono cattivi? Semplicemente perché lo conosco. Quando ci si conosce, si accorciano le distanze e si entra in contatto con la verità: non quella dei teoremi ma quella dell’incontro reale con le persone.
Nessuno è 'un' rom, 'un' napoletano, 'un' musulmano: ciascuno di noi ha un nome e un cognome, una storia, un passato, una vita, un sogno da realizzare. Conoscere l’altro, quello vero, è la ricetta dell’inclusione e non vale solo per i rom. Sono consapevole anch’io che i gitani catalizzano nel nostro immaginario collettivo tutto il peggio che si possa pensare del forestiero, del migrante, dello straniero, perché sono considerati i più refrattari all’integrazione, però so anche che è una battaglia di civiltà sforzarsi di leggere, noi, lo stesso problema coi loro occhi.
I figli del padre e della madre che ieri le Forze dell’ordine hanno salvato dall’ira senza ragione e senza cuore della 'gente', se nessuno riparerà secondo giustizia al malfatto, quale fiducia e quale rispetto potranno avere per la legge? E questi stessi figli, se nessuno dimostrerà loro il valore del rispetto e della solidarietà, quali freni del potranno con certezza trovare dentro se stessi quando, un domani, avranno la possibilità di recar danno a quegli 'italiani' che hanno negato loro persino la casa che il Comune aveva loro assegnato?