Viva Enea, e ci sia il coraggio per vedere i suoi fratelli non nati
mercoledì 12 aprile 2023

I sommersi e i salvati. I bambini che non arrivano nemmeno a nascere e il piccolo Enea, fra noi per un “atto di coraggio” della madre, che lo ha deposto nella Culla per la vita del Policlinico di Milano. Al netto di semplificazioni e congetture, sappiamo che la donna ha voluto farlo venire al mondo ma non aveva le risorse per crescerlo e si è convinta che potesse avere “un futuro migliore” se affidato a un’altra famiglia, come ha detto ad Avvenire il primario di Neonatologia che ora lo ha in cura, Fabio Mosca. Giornali, tv, social e siti web sono pieni di appelli alla madre, perché ci ripensi – in effetti ha 10 giorni di tempo per tornare sui suoi passi – e si ricongiunga al suo bambino.

L’ex presentatore tv Ezio Greggio, con qualche richiamo inappropriato (e tempestivamente corretto) alla “vera mamma” in contrapposizione a quella che potrà essere una mamma adottiva, ha promesso aiuti, sostegno, vicinanza affinché possa crescere serenamente il figlio che ha portato in grembo per nove mesi. C’è un che di paradossale in questa corsa alla solidarietà, scattata giustamente per un bambino già nato e invece praticamente inesistente per quelli non ancora nati. Di più: quando l’aiuto e il sostegno vengono offerti alle donne in difficoltà per una gravidanza, per evitare cioè il ricorso all’aborto, allora ciò diventa fonte di polemiche. Ne sanno qualcosa gli amministratori regionali piemontesi, che solo dopo un lungo e polemico braccio di ferro sono riusciti a varare, nel 2021, convenzioni con le realtà presenti sul territorio per progetti di sostegno alla maternità difficile. Oppure il Consiglio comunale di Iseo (Brescia) che nel 2020 approvò una mozione che prevedeva un aiuto di 180 euro al mese per un anno e mezzo alle madri in difficoltà per una gravidanza non voluta e fu duramente contestato per il suo imperdonabile «attacco alla libertà delle donne».

E ne sanno qualcosa anche i volontari del Movimento per la vita, che racimolano i finanziamenti per il Progetto Gemma di “adozione prenatale” con grande impegno ma senza contare su mobilitazioni massicce. Paradossale, dicevamo. Sì, perché se la mamma di Enea, come si legge in questi giorni, ha compiuto una “scelta coraggiosa” per aver abbracciato la vita anziché la morte, allora perché tante donne in situazioni analoghe vengono semplicemente abbandonate alle loro angosce, ai loro dilemmi, alla loro solitudine? Il caso del piccolo Enea insegna che il tema della difesa della vita nascente andrebbe depurato dalle incrostazioni ideologiche per tornare alla sua essenza.

Se l’aborto è una “scelta” (o addirittura un “diritto”, anche se di diritto la legge non parla) allora deve essere garantita anche la libertà di non abortire. Del resto è la legge 194 a stabilirlo: nell’articolo 5 si dice che “il consultorio o la struttura socio- sanitaria” devono aiutare la donna e, se ci sono le condizioni, “il padre del concepito” (già, c’è sempre anche un padre…) a “rimuovere le cause che porterebbero alla interruzione della gravidanza”, promuovendo “ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Ma purtroppo all’ideologia non si sfugge.

Ecco allora che il destino di Enea commuove e mobilita, e l’affidamento della madre ad altre mani diventa un “atto di grande amore”, ma i tanti Enea che ogni giorno scompaiono nell’indifferenza sono presentati come espressione della libertà della donna. Eppure, diciamolo con onestà, quanti Enea potrebbero salvarsi se le loro mamme trovassero le stesse mani tese, le stesse offerte di aiuto, la stessa vicinanza e comprensione che ha trovato la donna sconosciuta che ha deposto suo figlio nella Culla per la vita.

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