La Culla per la vita alla Clinica Mangiagalli di Milano - Ansa
Ha circa una settimana di vita e sta bene, ma il giorno di Pasqua la sua mamma ha pensato di non poterlo più accudire e lo ha lasciato nella Culla per la vita presso la Clinica Mangiagalli di Milano. Qui se ne sono subito presi carico le infermiere e i neonatologi del Policlinico, e lo hanno sottoposto ai controlli di routine. Accanto al neonato, che pesa circa 2,6 chili ed è di etnia caucasica, la sua mamma ha messo anche una breve lettera, che dice molto di quanto avrà provato nell’abbandonare il proprio figlio: «È super sano, tutti gli esami fatti in ospedale sono ok». E gli ha anche dato il nome: Enea, un guerriero e viaggiatore famoso.
È il terzo caso di bambino lasciato nella Culla per la vita della Clinica Mangiagalli, da quando è stata attivata nel 2007: prima di lui ci furono Mario nel 2012 e Giovanni nel 2016. Il piccolo Enea è stato lasciato alle 11,40 di domenica: oltre una piccola saracinesca, si trova un ambiente protetto per il neonato, una piccola incubatrice. E, schiacciato un campanello, dopo 40 secondi (il tempo per i genitori di allontanarsi) un segnale di allerta arriva direttamente nel reparto di Neonatologia. Da qui due dottoresse e le infermiere sono accorse e hanno trovato il piccolo, avvolto in una copertina verde, e lo hanno portato in reparto. I primi controlli lo hanno trovato in buona salute.
«È una cosa che pochi sanno – osserva il direttore generale del Policlinico, Ezio Belleri – ma in ospedale si può partorire in anonimato, per la sicurezza di mamma e bambino». Inoltre, proprio alla Mangiagalli, è attivo da tanti anni un Centro di aiuto alla vita, fondato nel 1984 da Paola Bonzi, che offre aiuto e sostegno alle madri prima, durante e dopo la gravidanza. E proprio alla solitudine sociale della mamma fa riferimento il primario di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale del Policlinico di Milano, Fabio Mosca: «A livello sociale, non siamo stati in grado di intercettare una madre in grande difficoltà».
Professor Mosca, accanto alla gioia per il neonato in buona salute, c’è anche un po’ di rammarico da parte sua?Certamente. La Culla per la vita è un sistema di sicurezza che permette, alla mamma che vuole abbandonare il proprio bambino, di evitare effetti negativi per la salute del neonato. Sappiamo bene i rischi presenti in caso di abbandono in scatole di cartone o cassonetti. Resta il fatto che una mamma abbandona il suo bambino dopo averlo tenuto in grembo nove mesi: e in questo caso, dopo 5-6 giorni di vita, pensa di non farcela e scrive una lettera in cui dice che il suo bambino potrà trovare con un’altra famiglia un futuro migliore di quello che avrebbe con lei. Non conoscendola, non so se questa mamma pensa a difficoltà solo economiche o anche di altro genere. Deve far riflettere che – come società – non abbiamo saputo intercettare questa mamma: non voglio puntare il dito verso qualcuno, ma dobbiamo sentirci interpellati tutti. Dobbiamo essere più attenti, perché nella ricca Milano il giorno di Pasqua è stato abbandonato un bambino per difficoltà che forse potrebbero essere superabili.
È stato partorito in ospedale, poi portato a casa. Infine lasciato nella Culla per la vita. Che idea si è fatto della mamma di Enea, a partire dal fatto che gli ha dato un nome?
Il fatto che gli abbia dato il nome (anche se non è detto che sia quello con cui lo ha registrato alla nascita), così come la letterina, niente affatto banale, ma piena di attenzione e di amore, dimostrano che questa mamma vuole bene al proprio bambino. Lo ha partorito in ospedale e poi lo ha portato in una Culla per la vita: immagino il costo che ha avuto per lei abbandonare questa creatura. Magari non sapeva che c’è la possibilità di abbandonare il bambino in ospedale in modo anonimo, anche se la legge risale al 2000. O ci ha pensato solo nei giorni successivi, una volta a casa. Certamente la letterina con parole di amore fa pensare che sia convinta che il bimbo possa avere un futuro migliore.
Che cosa avete provato una volta trovato il neonato?
Molta emozione ma anche tristezza, perché di solito abbiamo a che fare con bambini e i loro genitori. In questo caso abbiamo a che fare un bimbo senza mamma e papà. È una vicenda che ci colpisce ed emoziona: cerchiamo di vicariare la mancanza di genitori, facendo noi la parte loro. In reparto viene accudito e alimentato con il latte delle donatrici che alimentano la Banca del latte materno. Resterà con noi in reparto in attesa che il Tribunale dei minori decida di affidarlo a una famiglia.
Ma voi sperate ancora che la mamma si rifaccia viva?
Certamente. Questa mamma, se vuole, ha ancora dieci giorni per ripensarci, per fare marcia indietro. Ci sono associazioni che possono aiutarla a tenersi il suo bambino, a partire dal Centro di aiuto alla vita presente alla Mangiagalli. Penso che un figlio debba stare con la sua mamma, sta a noi aiutarla se è in difficoltà.