Di crisi della democrazia si parla da molti anni. Anche se, per la verità, questo modello politico ha dimostrato una resilienza che va al di là di quanto molti si aspettavano. Non bisogna dimenticare che la democrazia - quell’assetto istituzionale che garantisce condizioni di libertà personale in un quadro di stato di diritto - intercetta dimensioni antropologiche profonde, difficili da negare.
Rimane però il fatto che la crisi non sembra trovare soluzione. E continua ad avvitarsi pericolosamente.
È dunque segno di grande consapevolezza che le Settimane Sociali dei cattolici italiani siano dedicate al tema della democrazia. Che, oltre al momento elettorale e all’architettura istituzionale, si fonda e si rigenera solo attraverso la partecipazione attiva. Cioè la corresponsabilità di tutti al bene comune.
La storia, lo sappiamo, non si ripete mai. Eppure, si può scorgere un’analogia tra la storia del secolo scorso e quella dei nostri giorni. Fu l’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII che, a fine ’800, sollecitò il mondo cattolico a prendersi cura delle trasformazioni legate alla modernizzazione politica ed economica. A partire dalle condizioni di vita concrete degli uomini e delle donne che facevano l’esperienza della fabbrica e della città moderna. La risposta fu una fioritura di iniziative ecclesiali (si pensi a San Giovanni Bosco, che con gli oratori offrì un aiuto alle famiglie dove i genitori andavano a lavorare in fabbrica) e sociali. Su queste basi, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, don Sturzo cominciò a riannodare le tante esperienze in un discorso che intendeva parlare all’intero Paese. Ci volle molto tempo. Più o meno trent’anni per arrivare al 1919, quando fu fondato il Partito popolare. Che pure, qualche anno dopo, non riuscì a fermare l’avvento del fascismo. Solo dopo la Seconda guerra mondiale nacque la Democrazia cristiana che (non solo in Italia) guidò lo sviluppo economico e politico del Secondo dopoguerra.
Anche oggi, come a fine Ottocento, il mondo sta cambiando profondamente. La stagione della globalizzazione ha lasciato in eredità una lunga lista di problemi: dal nuovo ordine geopolitico globale alla sostenibilità ambientale, dalle migrazioni alle disuguaglianze fino all’intelligenza artificiale. Cambiamenti profondi, che mettono a dura prova la stabilità della democrazia.
Di fronte a tutto questo, l’offerta politica disponibile in molti Paesi occidentali - che si rifà alle categorie di fine Novecento - è inadeguata. Il che apre un vuoto, occupato dai partiti di una nuova destra populista, in molti casi estrema, che rifiuta il modello esistente pur senza avere chiare linee di intervento. Non a caso, queste proposte politiche trovano ampio sostegno in quei ceti popolari su cui si scaricano molti dei problemi macro-sistemici.
Corriamo il rischio di avventure pericolose. Come a fine Ottocento, così anche oggi due encicliche, Laudato Si’ e Fratelli tutti, delineano con chiarezza l’orizzonte all’interno del quale la radice cattolica può e deve giocare la propria presenza creativa e responsabile nella difficile transizione in corso. Ciò che queste due encicliche dicono - in continuità con la diagnosi di Papa Benedetto sulla crisi dell’Occidente provocata dalla separazione tra fede e ragione - è che, per uscire dalla situazione nella quale ci troviamo, occorre recuperare la costitutiva dimensione relazionale della vita sociale. Solo riconoscendo il vincolo che ci lega gli uni agli altri e con l’ecosistema naturale sarà possibile acquisire quel punto di vista necessario per portarci fuori dalle secche della crisi.
L’individualismo radicale, in alleanza con l’approccio tecnocratico che sposa un soluzionismo astratto, ha vinto negli ultimi decenni. Ma ora bisogna andare oltre, con un cambio di paradigma che apra una stagione di sviluppo inedita. Superando la sterile contrapposizione tra l’individualismo radicale della sinistra libertaria e la chiusura reattiva dei populismi e dei fondamentalismi.
Non si tratta di inventare nulla. Anche oggi sono tanti quelli che, cattolici e non, lavorano concretamente per creare equilibri più avanzati dal punto di vista economico, sociale e istituzionale. Ed è da lì che si deve partire per ricostruire una cornice di senso capace di parlare all’intera società. Del suo futuro e del suo destino. Probabilmente si tratterà di un viaggio lungo, di cui non si conoscono né le tappe né gli esiti. Ma, in un momento così delicato, non si può sfuggire alle proprie responsabilità. Se, come scrive il poeta, “camminando si apre il cammino”, non resta che incamminarsi.
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