La Culla per la vita della Mangiagalli di Milano - Fotogramma
Un miracolo davvero, perché la sorte di Enea - il neonato che una mamma anonima ha lasciato la domenica di Pasqua nella Culla per la Vita della Clinica Mangiagalli di Milano - poteva essere tragicamente diversa senza quella culla. Ecco la grandezza delle piccole culle per la vita: il percorso dalla solitudine alla comunione, dalla disperazione alla speranza, perché «quel bambino nato o non ancora nato è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato». Non abbandono, ma affidamento: è il gesto di deporre un bimbo o una bimba nella culla. Chi lo compie vuole salvare, chiede aiuto e protezione per quella piccola creatura. Le culle sono una benedizione: se tu, mamma, non ce la fai o non puoi, pensiamo noi al tuo bimbo o alla tua bimba. Non temere. Sarà accolto e amato! Questo dicono le culle. Molto probabilmente le culle hanno salvato molti più bambini di quelli che vi sono stati posti dentro. In ogni caso, anche poche vite salvate giustificano la predisposizione di strumenti idonei a evitarne la morte: «chi salva una vita salva il mondo intero». Le parole, i gesti, le immagini, veicolano messaggi; così anche la presenza silenziosa di una culla comunica accoglienza, speranza, fiducia. Così è stato per il piccolo Enea la cui esistenza, il cui nome e la cui storia appena iniziata dicono qualcosa di grande: tu sei prezioso per noi, per tutta la società. Come non interrogarci, a questo punto, su quella moltitudine di bambini ai quali viene impedito di nascere? Bambini che, invece, la società non vuole vedere, ma che esistono; bambini che vengono scartati in nome di falsi diritti e di una interpretazione corrotta della libertà. Anche questi bambini non nati, anche loro, ha detto papa Francesco, «sono figli di tutta la società, e la loro uccisione in numero enorme, con l’avallo degli Stati, costituisce un grave problema che mina alle basi la costruzione della giustizia, compromettendo la corretta soluzione di ogni altra questione umana e sociale» (2 febbraio 2019). In sostanza la questione è tutta qui: nello sguardo che riconosce l’umanità dell’altro.
È necessario che le culle per la vita siano conosciute. Siamo tutti responsabili. Ma Enea non era lo stesso Enea che poche ore prima si trovava nel seno della mamma? E non è lo stesso Enea che ha iniziato a esistere nove mesi prima della nascita? Dobbiamo riflettere sul non raro rifiuto dei bambini buttati via appena nati, meno fortunati perché nessuno li ha visti o sentiti. Ma soprattutto dobbiamo riflettere su quella moltitudine di bimbi cui viene impedito di nascere in nome della “libertà” degli adulti, in nome dei “diritti” e della “civiltà”. Questo supremo rifiuto prima che fisico è mentale, perché il rifiuto è nel pensiero, nella mente, nel cuore: di questi bimbi viene cancellata anche la possibilità di essere guardati, si vogliono relegare nell’irrilevanza, come se non esistessero. Di loro, come esseri umani a pieno titolo, non si deve parlare. Addirittura è giudicata una minaccia al sistema affermare che deve essere data alla donna la libertà di non abortire, il diritto di accogliere i propri figli. La giustissima e doverosissima attenzione verso il neonato trovato mesi fa nelle campagne del trapanese vale per tutti i bambini, anche per quelli non nati, perché ciascuno di loro ci ricorda che in ogni vita umana c’è un “mistero da venerare”.
I nostri Centri di aiuto alla Vita si trovano in ogni regione, isole comprese, e spesso sono abbinati a case di accoglienza; della rete del Movimento per la Vita italiano fanno parte anche i servizi Sos Gemma e Sos Vita; esiste poi il cosiddetto “parto in anonimato” che tutela la mamma e il figlio; spesso associate a ospedali, sono installate le “culle per la vita”.
Presidente del Movimento per la Vita italiano